Il «baco», come lo chiama il prefetto Franco Gabrielli, è «stato nel sistema informativo». Ecco perché per evitare un altro funerale show, come quello di «zio Vittorio» Casamonica a Don Bosco giovedì scorso, d'ora in poi Roma si doterà di un nuovo modello: un gruppo di raccordo con i gabinetti e gli staff di prefettura, carabinieri, polizia, finanza e vigili urbani.
La raccolta di notizie sensibili, catalogate in un preciso ranking d'importanza, scenderà dai vertici fino ai commissariati e le caserme di zona e viceversa.
LA RICOSTRUZIONE
Poi c'è il passato prossimo. Quello di giovedì scorso, con il corteo funebre chilometrico di 250 auto che attraversa la Tuscolana (passando davanti alla sede operativa della Dia), i sei cavalli che trainano il cocchio d'oro con il feretro del boss, la musica del Padrino, i manifesti simil papalini per «zio Vittorio» e i petali lanciati dall'elicottero sopra la chiesa. Immagini che hanno fatto il giro del mondo. Gabrielli nella conferenza stampa post comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza fa mea culpa a nome di tutta la ditta: «Il sistema ha fallito, conoscevamo i Casamonica: negli ultimi cinque anni ne abbiamo arrestati 117». Ma difende pubblicamente e in maniera trasversale uno per uno i protagonisti di questa vicenda: «Non rotoleranno teste, semmai accadrà sarà per volere del ministro Alfano - a cui ha spedito una relazione dettagliata sui fatti - e la prima sarà la mia. Il questore? Non è stato messo in condizione di conoscere i fatti». Altrimenti sarebbero scattate le prescrizioni previste dall'articolo 27 del Tulps: come già stabilito per la messa in suffragio del ras dei Casamonica in programma domani.
Al secondo piano di Palazzo Valentini Gabrielli è seduto al centro del tavolo tra il comandante provinciale dei carabinieri Salvatore Luongo e il vicario del questore Luigi de Angelis (Nicolo D'Angelo è assente). Ai lati il vicesindaco di Roma Marco Causi e il comandante della Finanza Giuseppe Magliocco. L'ex capo della Protezione civile - che appena vede davanti a sé l'imponente circo mediatico gli sembra «di essere ritornato ai tempi della Concordia» - spalma le responsabilità su tutti. Ma senza crocifiggere nessuno. Non infierisce. Anche se a porte chiuse, durante il comitato che precede questa conferenza stampa fiume, lo hanno sentito strigliare i vertici delle forze dell'ordine con toni perentori: «Gli organi investigativi dove stavano? Signori, non possiamo più sbagliare». Uno «shampoo», come lo descrive chi c'era, che ha lambito il Campidoglio: «Tutti potevano fare di più, anche i vigili. Ma questa volta - è stata la battuta del prefetto - Marino, che a Roma viene incolpato di qualsiasi cosa, non c'entra nulla».
IL BALLETTO
Per capire l'entità del «vulnus informativo» bisogna ritornare a giovedì. I carabinieri di Ciampino e il commissariato di zona hanno trasmesso i fax con i quali si dava il via libera ai tre famigli del clan ai domiciliari per partecipare ai funerali. «E' mancata la scintilla - dice Gabrielli - non sono stati avvisati i livelli superiori. La caserma quel giorno ha ricevuto e lavorato 14 pratiche di questo genere». Il Comune dice, il vicesindaco Causi, non ha dato autorizzazioni per il corteo funebre «perché non ne servono: l'agenzia che ha portato i cavalli ha un permesso che vale in tutta Italia. A proposito: le pompe funebri pagheranno il lavoro fatto da Ama». Sull'elicottero che si è alzato in volo da Terzigno, nel Napoletano, Gabrielli è stato realista: «Se fosse stato un terrorista sarebbe stato un problema per tutti ma per questi casi serve un'intelligence preventiva». E quindi ormai, a rotta deviata, era impossibile affiancarlo con aerei delle forze dell'ordine: c'era il rischio della strage.
Ecco dunque la ricostruzione di «un fatto gravissimo». Che non convince Lega, M5S e Forza Italia. Ma neanche pezzi del Pd, come il deputato Roberto Morassut. Rimangono alcuni nodi non sciolti: il clan occuperebbe abusivamente immobili del Comune («Una trentina») e della Regione («Tre a Ciampino»), le verifiche sono partite, sull'onda mediatica del caso. Il vicesindaco di Roma - Marino è in ferie - chiama alla mobilitazione contro le mafie «affinché l'indignazione diventi coscienza politica». Il prefetto avverte: «Dobbiamo fare uno sforzo per dimostrare che non abbiamo alcuna paura dell'ambiente criminale, ma non in un'ottica di legge del taglione».