Funerali Casamonica/ La città che pensa da municipio e non da Capitale

di Mario Ajello
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Sabato 22 Agosto 2015, 23:16 - Ultimo aggiornamento: 23 Agosto, 00:01
Ci sono responsabilità a ogni livello, anche quello politico-amministrativo, come risulta dalla relazione sulla vicenda Casamonica.



E queste responsabilità verranno sanzionate. C’è la falla nelle funzioni di controllo del territorio e un deficit nell’azione di prevenzione, per quanto riguarda il funerale del padrino tre giorni fa, e le misure di riorganizzazione del sistema si spera che non si facciano attendere troppo. Ma questo non basta.



Per evitare che il vulnus subìto da questa città e da chi ci vive possa ripetersi o allargarsi, è l’intero approccio al fenomeno mafioso in tutte le sue articolazioni che va cambiato. Roma in questa vicenda, così come nelle altre riguardanti la “piovra” dei clan e delle bande modello Buzzi-Carminati, ha avuto un approccio colpevolmente di basso profilo. Come se fosse una città come le altre e non il centro politico e governativo del Paese e il simbolo dello Stato. Si è comportata, insomma, in maniera municipale e non in maniera Capitale. Qui hanno sede i massimi organi di polizia, le strutture di controllo al più alto livello e il corpo di vigili urbani più numeroso, ma evidentemente non meglio attrezzato, rispetto alle altre città. Eppure tutto ciò sembra funzionare anche presso i romani più come alibi - del tipo: a Roma certe cose non possono accadere - che come surplus di responsabilità e di impegno istituzionale e civile di fronte a un’emergenza rispetto alla quale si è stati troppo muti, ciechi e sordi.



Il calo di attenzione riguarda tutti, compresa la Chiesa rivelatasi in questo frangente più simile a don Abbondio che a Fra’Cristoforo (e non parliamo del cardinale Borromeo). Ma nella ricostruzione virtuosa della catena della prevenzione, del controllo, dello scambio di informazioni e della fiducia tra i soggetti in campo, è la politica che al posto del minimalismo, dello scaricabarile e dell’assenza deve per prima assumere su di sè quelle responsabilità di guida e di efficienza che a Roma ha mostrato di non volere avere o di non sapere svolgere. Anzi i partiti, in questo vuoto della politica, si sono fatti inquinare dalla criminalità. E quello dei dirigenti della destra e della sinistra capitolina a processo, a inizio novembre per Mafia Capitale, sarà infatti lo spettacolo di un sistema che ha portato Roma al collasso.



Se è vero purtroppo, come diceva Leonardo Sciascia, che «la linea della palma sale», è inammissibile che la palma del malaffare abbia messo le sue radici, e non si vergogna affatto di mostrarle, al centro della Penisola e nel luogo simbolo della nazione. Soltanto una buona politica, l’opposto di quella fin qui praticata, può formare in questa città umiliata e offesa, ma anche tendente al fatalismo e alla colpevole auto-assoluzione, quel contesto in cui le strutture di controllo del territorio, le forze dell’ordine e tutti i meccanismi di contrasto alla criminalità possono agire in maniera efficace. Ossia senza quelle lacune macroscopiche, riguardanti anche il Comune, che il caso Casamonica ha messo a nudo. E quando «Roma è nuda», come canta Er Piotta nel suo ultimo hit «I 7 vizi Capitale», Roma è spaventosa. C’è poi in un romanzo post-pasoliniano di Walter Siti - vincitore del Premio Strega 2012 - un dialogo nel quale il protagonista Nando, a proposito della melma prodotta da un nubifragio, dice a un amico: «A Na’, qua siamo tutti sporchi di fango e non ce lo diciamo». Il titolo è: «Resistere non serve a niente». Ma questa volta, resistere per ricostruire è l’unica chance.