L'Ernani inaugura la stagione dell'opera
Magia Muti, è trionfo

L'Ernani inaugura la stagione dell'opera Magia Muti, è trionfo
di Rita Sala
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Giovedì 28 Novembre 2013, 06:05 - Ultimo aggiornamento: 1 Dicembre, 20:24

Un Ernani nuovo, pi giovane di quello diretto alla Scala di Milano nella stagione 1982-83 e al tempo stesso ponderato, analitico, sapientissimo. Musica da mettere nell'agenda dell'anima per conservarla e riviverla. Riccardo Muti ci ha regalato tutto questo, ieri sera al Costanzi, dirigendo l'opera di Verdi in un sontuoso allestimento con regia, scene e costumi di Hugo de Ana nella serata che inaugurato la stagione 2013-14 della Fondazione lirica romana.

Verdi è il compositore di Muti e Muti il direttore di Verdi. Inutile sottolinearlo una volta di più. Come inutile risulterebbe scendere nel dettaglio musicale dell'esecuzione, inforcando esegesi tecnico-formali ostiche ai più e soprattutto pleonastiche nei confronti di un maestro padrone come nessuno della partitura, della drammaturgia verdiana, del pathos psicologico e sociale di un titolo poco eseguto ma estremamente significativo.

Muti torna su Ernani con impeto meditativo o, rivoltando l'ossimoro, con meditazione impetuosa, proprio come questo Verdi esige. Rileva i conflitti tra i personaggi (Carlo V, Giovanni d'Aragona celato sotto le spoglie del bandito Ernani e il nobile Ruy Gomez de Silva, tutti e tre attratti dalla bella Elvira, che ricambia solo il masnadiero) e li approfondisce già nel preludio. Amore, onore, vendetta, giustizia, morte. In questo titolo, dopo che i personaggi si autocaratterizzano con le rispettive arie d'ingresso, musica e canto diventano un respiro all'unisono e lasciano posto, o almeno si intrecciano, con panorami storici e contesti collettivi. Non a caso, a tal proposito, vien sempre citato il famoso coro “Si ridesti il Leon di Castiglia”, che abitò subito i cuori e infiammò i patrioti nella Venezia del 1844. Muti lo priva di ogni retorica e lo trasforma in pura efficacia, in reale ardore d'intenti e di principi. Da elogiare l'ensemble guidato da Roberto Gabbiani: dall'inizio alla fine - Verdi fadel coro il quinto personaggio principale dell'opera, assegnandogli una funzione greca - assume le indicazioni del maestro e rende con legato, magnetico fervore, ciò che di solito è scandita magniloquenza.

LE VOCI

Davvero eccellente il cast, a partire dall'Elvira di Tatiana Serjan. Il soprano russo sa cosa significhi cantare, dosare la voce, dare levità all'amore, singhiozzo al dolore, ineluttabilità alla tragedia. Veemente, perentorio, dolcissimo all'epilogo l'Ernani di Francesco Meli; autorevole, grifagno, ma anche morbido nei momenti giusti il Carlo V di Luca Salsi; nobile, vibrante, un vero pari di Spagna il Silva di Ildar Abdrazakov. Una festa di armonia, di compartecipazione, di concentrazione. Solo Muti, in un teatro stretto attorno a lui, può ottenere un simile unicum, che onora Verdi, la musica italiana, il lavoro degli artisti.

L'allestimento firmato De Ana è di gran pertinenza. Gli accenni di architettura del Cinquecento iberico, damascati o graffiati da proiezioni che li ricreano al di fuori del tempo, si popolano via via di figure “rubate” agli universi di Tiziano e Velázquez. Eccezionali i cromatismi. Particolarmente curate le posizioni del coro, mai raccogliticce o casuali. Belli i gruppi dei protagonisti nei momenti di reciproca interazione, isolati dalle luci, vivi, palpitanti, sbozzati dal contesto con evidenza statuaria. Dal podio il maestro anima il tutto con il soffio della suo fare maieutico, ispirato eppure mai dimentico della copresenza, nella lirica, di note e teatro, voci e corpi, golfo mistico e palcoscenico. L'ennesimo omaggio a Verdi di un immenso musicista che ci dimostra, seguendo Dante, come la Musica non sia chimismo, bensì rapimento.