Roma, iltestimone dell'omicidio davanti alla discoteca: «Pugni con i guanti e calci anche se era agonizzante»

Roma, iltestimone dell'omicidio davanti alla discoteca: «Pugni con i guanti e calci anche se era agonizzante»
di Michela Allegri e Alessia Marani
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Mercoledì 6 Settembre 2017, 00:22 - Ultimo aggiornamento: 7 Settembre, 08:02

Quando ne parla è ancora sconvolto. Era sconvolto anche quando, dalle tre di notte di sabato fino al pomeriggio successivo è rimasto chiuso nella caserma dei carabinieri a via In Selci, a Roma, raccontando per filo e per segno quello che aveva visto nel parcheggio della discoteca San Salvador, all’Eur. Ha assistito all’omicidio di Giuseppe Galvagno, massacrato di botte da cinque buttafuori del locale, che sono stati fermati per omicidio.

«Ero distante tre o quattro metri. Ho visto uno dei bodyguard che indossava dei guanti e iniziava a colpirlo». Gli addetti alla sicurezza picchiavano Galvagno a turno, «mentre lui strillava e inveiva contro di loro, lo colpivano al volto». Ai carabinieri ha fatto il nome di uno di loro (identificato dagli inquirenti come Fabio Bellotazzi, 43 anni): «Si chiama Fabio, gli ha tirato un calcio al volto come se tirasse un calcio di rigore. Ho visto l’uomo che veniva scaraventato su una Smart bianca parcheggiata, sulla quale dopo ho notato delle macchie di sangue».

Il supertestimone nell’inchiesta è un meccanico romano di 51 anni ora sotto la tutela dei carabinieri. 

Lei non ha esitato a raccontare agli inquirenti ciò che ha visto. Che cosa è successo?
«Ero nel piazzale. Ho visto tre buttafuori uscire con Galvagno, già gli erano addosso. Poi sono arrivati il quarto e il quinto. Lo picchiavano sotto gli occhi della fidanzata, di Barbara, che cercava di portarlo via. Lui era ubriaco come tanti altri là dentro. Voleva rientrare a tutti i costi, a un certo punto ha dato pure uno spintone a Barbara dicendole “lasciami stare”. Allora uno dei bodyguard, il più giovane, quello di trent’anni, si è infilato persino i guanti per assestargli un cazzottone in piena faccia».

Perché lo ha fatto secondo lei?
«Perché voleva farsi grande davanti alla gente, il piazzale era pieno».

Galvagno li ha provocati?
«Ma no, lui è caduto a terra una prima volta, era una maschera di sangue per quel colpo, si è rialzato e ha detto solamente: “Ma che m’avete fatto, bastardi”. E allora loro si sono accaniti come belve. Appena Giuseppe si è rialzato, uno di loro lo ha afferrato per il collo, lo tirava forte mentre gli altri ancora lo pestavano con calci e pugni. Barbara era presente. Dopo le hanno detto di andare a prendere la macchina, “portatelo via” dicevano, volevano completare l’opera».

In pochi istanti mentre lei si allontanava che cosa è accaduto?
«Dopo che gli hanno dato 4, 5 bei cazzottoni in faccia, Galvagno è caduto di nuovo a terra, era steso lì agonizzante. Quando tutto sembrava finito, prima di rientrare in discoteca, Fabio gli ha sferrato quel calcione così inutile, gratuito. A che serviva? Me lo chiedo di continuo».

A quel punto ha chiamato i soccorsi?
«Sì, sono stato io a chiamare l’ambulanza e a farle strada all’arrivo indicando l’accesso del parcheggio. Non lo ha fatto nessuno dello staff, nessuno che era nel piazzale si è mosso o si è fatto avanti per difenderlo o dopo per testimoniare, eppure c’era tanta gente».
 
Che cosa ricorda poi?
«Mentre l’ambulanza era lì e Barbara cercava di fare la respirazione bocca a bocca al suo compagno, io sono tornato dentro. Mi sono diretto verso Fabio e gli ho gridato: “Quello è morto, ti rendi conto”. E sa che mi ha risposto? «Non me ne frega niente, non so’ affari miei”. Sotto la sua scarpa hanno trovato ancora i capelli e il sangue di Galvagno. Ma lui non si è preoccupato di niente. Sono tutti in carcere adesso, gli sta bene, devono pagare».

Lei era stato altre volte al San Salvador, conosceva quei buttafuori? E Galvagno?
«Sono stato tante volte in quella discoteca, Galvagno lo conoscevo solo di vista, Barbara era la prima volta che la vedevo. Quei buttafuori erano habitué, degli esagitati. Quello che dico io è: perché l’hanno pestato di botte? A che serviva? Dovevano solo portarlo fuori e poi chiamare la polizia».

Tutti sono rientrati in discoteca e hanno continuato a ballare?
«È stato surreale. Lo sa quando l’ambulanza è andata via, che cosa è venuto a dirmi il proprietario del locale, Giancarlo? Che qualcuno diceva di avere visto la macchina di Barbara mettere sotto Galvagno. Io gli ho subito risposto: “Ma che mi stai a di’. Non si inventassero niente, io ho visto quel matto di Fabio dargli il calcio, io ho chiamato i soccorsi”. Lui allora ha abbassato la testa ed è stato zitto. Barbara si era avvicinata a lui con la macchina, ma non lo ha sfiorato minimamente. È scesa, ha provato a chiamarlo e a svegliarlo, ma niente. Spero che lo chiudano per sempre quel locale».

Adesso ha paura?
«Ho paura di ricevere minacce, ma sono sicuro di avere fatto la cosa giusta. Prima di lasciare la discoteca sabato notte mi ha avvicinato un carabiniere in borghese. Mi ha chiesto se ero io che avevo chiamato i soccorsi e se volevo andare in caserma a raccontare come erano andati i fatti. Potevo dire di no, invece, sono andato. Ci sono rimasto fino alle tre e mezza del pomeriggio di domenica a parlare con gli investigatori e il magistrato. Ogni carabiniere che ho incontrato in caserma, dal primo all’ultimo, mi ha fatto i complimenti dicendo che ho fatto una gran cosa. Per quelli ora io sarò il bastardo che ha fatto la spia. Ma come avrei potuto guardarmi allo specchio e dormire tranquillo altrimenti? Come si può stare zitti davanti a un uomo che è morto?».
 

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