Roma, ucciso in discoteca, i buttafuori si difendono: «È stata solo una rissa»

Roma, ucciso in discoteca, i buttafuori si difendono: «È stata solo una rissa»
di Alessia Marani e Adelaide Pierucci
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Giovedì 7 Settembre 2017, 08:00 - Ultimo aggiornamento: 8 Settembre, 08:11

I cinque buttafuori negano che sia stato un raid punitivo, parlano di una rissa finita male. Per ricostruire l'omicidio di Giuseppe Galvagno al San Salvador la procura parte da un rullino fotografico. Gli inquirenti hanno acquisito la macchinetta digitale di un fotografo che sabato notte ha scattato 700 foto per immortalare la nottata da pienone nella discoteca dell'Eur e stanno anche tentando di rintracciare (pure tramite i social) le decine di persone, almeno 50, che erano presenti sul piazzale del parcheggio dove è avvenuto il delitto. Gli scatti del fotografo sono ritenuti utili per individuare i testimoni e, soprattutto, il cliente che per primo nell'area fumatori ha litigato con l'imprenditore siciliano di 49 anni, trascinato poi fuori dalla security e morto dopo aver incassato una serie di pugni e un calcione finale in volto. L'uomo, insomma, potrebbe avergli sferrato i primi due destri dopo essere stato importunato. Da Emiliano Dettori, Mirko Marano, Fabio Bellotazzi, Davide Farinacci e Riccardo Stronati, i bodyguard fermati dai carabinieri e ora in carcere, però, nessuna ammissione. Chi ha rivelato di aver sferrato solo un pugno. Chi una spinta. Nessuno ha confessato di aver centrato la testa con una violenta pedata, il «calcio di rigore», come l'ha definito il super testimone dell'inchiesta, un meccanico di 50 anni. Gli indagati, ieri, durante l'interrogatorio di garanzia, hanno provato a giocare la carta dell'innocenza o al massimo della preterintenzionalità. I difensori hanno chiesto la revoca del carcere disposto dal pm Eleonora Fini o almeno i domiciliari. Il gip Maddalena Cipriani deciderà oggi. «La rissa di uno contro cinque che poi muore anche, è paradossale, più che infondata», afferma l'avvocato Gianluca Benedetti, che assiste i familiari di Galvagno e Barbara D'Agnano, la fidanzata che l'ha visto morire. «Non è stato un raid punitivo. E ciascuno ha ricostruito la propria partecipazione ai fatti», ha dichiarato invece l'avvocato Marco Casalini che assiste Farinacci, «il mio assistito era al secondo giorno di servizio. Non sono stati 4 minuti, ma 15 di legittima resistenza fisica e opposizione affinché Galvagno non rientrasse nel locale. Quando è stato avvicinato aveva già ferite al labbro e a un sopracciglio».

LUMINI E PREGHIERE
Ieri sera davanti alla discoteca di via Oceano Atlantico gli amici della vittima hanno organizzato una fiaccolata. Il super testimone, riascoltato ieri in procura, ha confermato quanto già raccontato negli uffici dei carabinieri dell'Eur prima e di via In Selci dopo: «Uno dei buttafuori si è messo addirittura i guanti di pelle prima di colpire, Fabio ha sferrato il calcio alla testa». «Giuseppe era un uomo buono - dicono l'anziana madre e la sorella Nuccia arrivate dalla Sicilia - Quest'estate ha assistito bambini con disabilità, assurdo che sia morto così, merita giustizia». Alla fiaccolata oltre a numerosi gruppi di ballo c'erano pure i volontari delle associazioni La casa di Massino e Camminando con Stefano. Galvagno era rimasto impressionato dalla storia di Stefano Onofri, un ventenne di Castel Madama ucciso e lasciato agonizzante a terra. «Come Giuseppe - dice Paola un'amica - quelle belve prima si sono scatenate e poi gli hanno voltato le spalle». A uccidere Galvagno, secondo il medico legale Giorgio Bolino, sarebbero stati almeno tre pugni violenti sferrati sulla testa seguiti dal calcio finale. Oggi dalle 10 sarà aperta la camera ardente al Gemelli, domani a Catania l'ultimo saluto all'imprenditore.