Fontana, l’ipotesi dei pm: «Intesa prima del contratto, i camici erano già pronti»

Fontana, l’ipotesi dei pm: «Intesa prima del contratto, i camici erano già pronti»
di Valentina Errante
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Giovedì 30 Luglio 2020, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 12:34

ROMA Stabilire dove siano stati fabbricati i camici e quando. Perché il sospetto è che, al momento dell’offerta trasmessa alla Regione Lombardia, Andrea Dini, cognato del governatore Attilio Fontana, sapesse già che la sua proposta sarebbe stata scelta dall’amministrazione. È l’ipotesi di un accordo preesistente ad avere portato i militari del Nucleo di polizia valutaria della Guardia di Finanza nella sede della Dama, la società controllata al 90 per cento di Dini e al 10 per cento della sorella Roberta (moglie di Fontana) ma anche nel deposito della Regione Lombardia.

Per questo due giorni fa, in procura, è stato convocato e sentito come testimone anche il fornitore di tessuti per camici al quale la società di Dini si è rivolta. Ma emergono anche altri dettagli sul maldestro tentativo di Fontana di risarcire il cognato con un bonifico dall’estero che aveva tentato di mascherare, dando ordine alla fiduciaria che amministra il suo conto svizzero di schermarlo. Un nuovo passaggio che creerà al governatore altri attacchi politici. Le date non coinciderebbero. L’ordine dei tessuti da parte della Dama sarebbe partito prima del 16 aprile, quando la Regione sceglie l’offerta e chiede a Dini di confezionare 75mila capi che, in realtà, erano già pronti. 
 

LA PERQUISIZIONE

Nella sede dell’azienda, la Finanza ha sequestrato i 25mila pezzi mai consegnati alla Regione, dopo la trasformazione del contratto in donazione per volontà dello stesso governatore. Mentre altri pezzi, una parte dello stock di 50mila effettivamente forniti, erano ancora nel deposito dell’amministrazione. Ma nel grande palazzo fuori Milano i militari hanno cercato anche le bolle di consegna per capire quando i 7mila set e il 50mila capi siano stati consegnati.

La circostanza che nel deposito di Dama sia stato trovato il numero esatto di pezzi mancanti, rispetto alla fornitura della Regione, significa che l’azienda tessile, proprietaria del marchio Paul&Shark e in difficoltà durante il lockdown, non avesse convertito la propria produzione, a prescindere da quell’ordine. I camici sono adesso custoditi, come corpo del reato, in un magazzino nella disponibilità dell’autorità giudiziaria.
 

BONIFICO SCHERMATO

Ma le indagini svelano anche un altro dettaglio che smentisce, ancora una volta, il governatore e la sua buona fede. Il 19 maggio, quando Fontana decide di fare dal suo conto svizzero un bonifico di 250mila euro al cognato (per risarcirlo dei mancati incassi, visto che lo ha indotto a trasformare in donazione un contratto da 513mila euro con la Regione) prova a schermare l’operazione bancaria. All’Unione fiduciaria, che ha mandato sul suo deposito di Lugano, chiede di schermarlo e di far passare i soldi da un conto omnibus, acceso presso la Banca popolare di Sondrio, della stessa fiduciaria. I soldi, dalla Svizzera, frutto di una misteriosa provvista milionaria di 5,3 milioni di euro, dovevano dunque transitare «su un conto omnibus intestato alla fiduciaria presso la Banca popolare di Sondrio» e poi essere accreditati alla Dama. «Realizzando - si legge nell’istruttoria di Bankitalia - un trasferimento formalmente disposto da una società fiduciaria tramite un’operazione domestica».

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Un bonifico bloccato l’11 giugno, dopo l’alert dell’Antiriciclaggio e l’intervento della Finanza. Intanto si guarda al patrimonio di Fontana e ai 5,3 milioni all’estero. È una prassi: chiunque abbia scelto la “voluntary disclosure”, approfittando delle leggi per rimpatriare e regolarizzare patrimoni illecitamente detenuti, dichiara che le provviste siano il frutto di evasione fiscale, reati sanati ope legis. Così ha fatto anche il governatore, ma le movimentazioni sui conti, intestati alla mamma e amministrati, attraverso fiduciarie alle Bahamas, passando per un fondo lussemburghese, non convincono. L’origine di quel patrimonio è ora all’esame degli inquirenti. Anche quei depositi di oltre 200mila euro, arrivati quando la mamma del governatore, titolare del deposito aveva già novant’anni.

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