Fontana, dalla finta donazione ai conti all’estero: tutte le contraddizioni sul caso camici

Fontana, tutte le contraddizioni sul caso camici: dalla finta donazione ai conti all estero
di Giuseppe Scarpa
5 Minuti di Lettura
Giovedì 30 Luglio 2020, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 23:43

ROMA Contraddizioni. Mezze verità. Inesattezze. Insomma bugie. Se la somma delle incongruenze raccontate dal governatore della Lombardia Attilio Fontana avrà come risultato definitivo l’incriminazione da parte della procura di Milano, lo si vedrà nelle prossime settimane. Ad oggi, infatti, il numero uno del Pirellone sconta un’indagine per frode in pubbliche forniture. Tuttavia ciò che adesso rileva è il “qui ed ora”.

LEGGI ANCHE I conti di Fontana/ Trasparenza lombarda a corrente alternata

Se le menzogne non sono sempre sanzionate dal codice penale hanno invece un peso politico. C’è in ballo la credibilità dell’uomo al vertice della più produttiva e ricca regione d’Italia. Le affermazioni di Fontana vacillano paurosamente, smentite dai fatti o dallo stesso governatore nel giro di poche ore o di qualche giorno al massimo. 

Ecco, perciò, un riassunto delle principali contraddizioni in cui è incappato l’esponente delle Lega sul caso dei camici anti-covid ceduti da Dama, la società del cognato, Andrea Dini, alla Lombardia. 

LE CONTRADDIZIONI 
L’8 giugno Fontana afferma: «Nel caso dell’azienda di mio cognato i camici sono stati donati». È una mezza verità. Il governatore, infatti, messo alle strette dopo l’indagine giornalistica di Report impone il dietrofront al parente che inizialmente quei camici li stava vendendo alla regione. 

Tre episodi smentiscono la versione di Fontana, il primo: Dini aveva inviato una mail ad Aria, la centrale d’acquisti della Lombardia, con le tariffe proposte, 6 euro a camice. La seconda, lo stesso governatore il 19 maggio bonifica 250 mila euro al cognato, forse per i sensi di colpa dovuti alla mancata vendita trasformata in donazione forzata. Inoltre ad indebolire il concetto che si tratti di un autentico regalo c’è un altro aspetto: i camici da consegnare erano 75 mila, ma Dama ne conferisce 50mila alla regione, gli altri 25mila cerca di venderli a 9 euro a pezzo ad una Rsa. 
 


Sempre i primi di giugno, il 7, Fontana mette in fila una serie di affermazioni che poi vengono sconfessate: «Non sapevo nulla della procedura attivata da Aria spa e non sono mai intervenuto in alcun modo». Invece non è così e il governatore il 27 luglio afferma: «Dei rapporti negoziali a titolo oneroso tra Dama (società del cognato, ndr) e Aria non ho saputo fino al 12 maggio scorso». Insomma confuta sé stesso. Ma c’è di più, perché anche quest’ultima versione ha degli elementi, per così dire, di debolezza. 

A contestare la data del 12 maggio, giorno in cui Fontana ritiene di essere stato informato dell’affaire che riguardava l’azienda di Dini, è lo stesso ex numero uno di Aria, Filippo Bongiovanni: il dg ha spiegato ai pm di aver comunicato dell’intera faccenda la segreteria del governatore il 10 maggio. Perciò due giorni prima rispetto a quanto sostenuto dal numero uno del Pirellone.

CONTO IN SVIZZERA
I guai però per Fontana non finiscono qui. Il bonifico da 250 mila euro al cognato (mai perfezionato per un allert dell’antiriciclaggio) ha scoperchiato la storia del tesoretto del governatore in Svizzera nella banca Ubs. 

Denari scudati nel 2015 che oggi ammontano a 4,4 milioni di euro. Cinque anni fa il conto superava i 5 milioni di euro. Ebbene il governatore sostiene si tratti dell’eredità lasciata dai genitori. Per Fontana non ci sono dubbi, non sono riserve frutto di evasione fiscale da parte del padre o della madre. Ma allora per quale motivo questi soldi sono stati schermati per anni con un trust alle Bahamas?

Una domanda a cui il governatore ha risposto sostenendo che si tratta di «un conto che avevano i miei genitori, una cosa purtroppo (portare i soldi all’estero, ndr) di moda a quei tempi». E sempre su quel deposito milionario Fontana compie un altro scivolone: «Era un conto non operativo da decine di anni, penso almeno dalla metà degli anni Ottanta». Ebbene nella newsletter del quotidiano Domani si legge che tra il 2009 e il 2013 ci sono stati diversi grossi movimenti di denaro sul conto. Insomma si tratterebbe di un’altra contraddizione. 
Disattenzioni sul tesoretto svizzero che in passato sono già costate a Fontana un multa da mille euro da parte dell’Anac: sanzione per omessa dichiarazione dello stato patrimoniale nel 2017. In pratica il presidente di Regione Lombardia venne multato per non aver fornito al Comune di Varese - di cui era sindaco fino al giugno 2016 - lo stato patrimoniale relativo al 2015, da cui sarebbe risultata la nuova disponibilità, 5 milioni di euro, che era stata sanata in rientro dalla Svizzera utilizzando lo scudo fiscale. Un’eredità che adesso può costare a Fontana il posto di governatore.

© RIPRODUZIONE RISERVATA