Roma, l'operaio, il padre, il boxeur: la vita normale dei 5 buttafuori

Roma, l'operaio, il padre, il boxeur: la vita normale dei 5 buttafuori
di Michela Allegri e Alessia Marani
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Martedì 5 Settembre 2017, 08:07 - Ultimo aggiornamento: 6 Settembre, 07:39

Riccardo Stronati, di Casalbernocchi, papà esemplare di un maschio e di una femminuccia, dipendente di una società pubblica e Fabio Bellotazzi, di Acilia, perito assicurativo, padre di due gemellini di 3 anni. Poi ci sono Davide Farinacci, il più piccolo, di 32 anni, appassionato di tatuaggi e di boxe che nel dicembre 2013 scriveva orgoglioso sul suo profilo Facebook «Promosso, evvai. Da oggi sono addetto ai servizi di controllo (buttafuori)» con le amiche che lo prendevano in giro «allora non metteremo più piede in un locale», Mirko Marano di Anzio ed Emiliano Dettori, del Portuense, padre di un bambino di 5, conosciuto come uno dei migliori buttafuori a Roma, un «mediatore fino allo stremo».

Sono loro i cinque bodyguard indagati per l'omicidio di Giuseppe Galvagno, l'imprenditore siciliano di 49 anni romano d'adozione, brutalmente picchiato nel parcheggio della discoteca San Salvador dell'Eur. Tutti incensurati, con famiglie e vite apparentemente normali, «sul cui conto non sono mai emerse segnalazioni o problematiche in tanti anni di professione», come spiegano dall'Aiss, l'Associazione italiana sicurezza sussidiaria che si batte per migliorare le condizioni di lavoro di una categoria che attende da anni il riconoscimento per incaricati di pubblica sicurezza. «Dettori - spiegano i colleghi - in passato si è anche distinto in servizio salvando la vita a un cliente accoltellato all'interno di un locale. Loro come tutti, si sottopongono una volta all'anno alle analisi mediche e persino neurologiche. Una vitaccia per sbarcare il lunario». Ma allora che cosa ha trasformato nel giro di pochi istanti gli angeli della serata in demoni? Presunti assassini per arrotondare e campare la famiglia per 80 euro a serata?

LA DINAMICA
Un tarlo nella mente dei carabinieri del Reparto Operativo del colonnello Giuseppe Donnarumma e della compagnia Eur che pure hanno raccolto testimonianze di ferro contro i cinque, alcuni dei quali sarebbero stati visti accanirsi sull'uomo anche quando era già a terra. Inizialmente la security sembra funzionare. I cinque buttafuori indossano le magliette nere con le scritte che li identificano, sono alle dipendenze di un'agenzia di Ostia, due lavorano a chiamata, gli altri fanno parte dell'organico in pianta stabile. I più anziani hanno 7 e 15 anni di esperienza, e tutto sommato hanno un compito facile: il San Salvador fa musica vintage, anni 70 e 80, la clientela è adulta, niente comitive di ragazzini su di giri e strafatti. La loro non è la squadra più agguerrita da schierare. Adocchiano subito Galvagno che, ubriaco, in pista comincia a discutere con un altro avventore. Intervengono in maniera decisa per dividerli, lo trascinano all'esterno. La sua compagna, Barbara, che ha 45 anni ed è un'infermiera al Policlinico di Tor Vergata, si sente quasi sollevata. Le ha fatto fare una brutta figura, ma ora andrà a casa lo metterà a dormire e tutto finirà.

PAROLE NON DETTE
Con i tacchi cerca di fare presto a prendere la macchina per poi tornare nel piazzale a caricarlo. Lo lascia con due buttafuori. Gli altri tre arriveranno dopo. Ma la tensione è ancora alta. Galvagno cova rabbia e vuole rientrare a tutti i costi. Barbara intuisce che nell'aria c'era qualcosa di impalpabile tra il suo uomo e i vigilante, «questione di sguardi, di parole non dette», racconta. E quando torna il suo Peppe non è più nello stesso posto, ma a qualche metro di distanza, a terra agonizzante. Uno dei vigilante gli ha sferrato un calcio in pieno volto. Nessuno ha chiamato i soccorsi, sarà lei a farlo mentre tenta anche di rianimarlo con il massaggio cardiaco. Inutilmente.

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