Il governo intende aprire un tavolo congiunto di confronto sull’autonomia con le Regioni Emilia-Romagna e Lombardia. C’è anche una data: il 6 novembre. Per ora, invece, è tutto fermo con il Veneto. «Non possiamo aprire il dialogo sulla base di richieste come quelle sulle tasse o sulle assunzioni degli insegnanti formalizzate dalla giunta veneta che la Corte Costituzionale ha già bocciato nel 2014 - spiega il sottosegretario agli Affari Regionali, Gianclaudio Bressa - Ma siamo dispostissimi a dare vita a un tavolo a quattro o a cinque, non solo a Zaia ma anche, se volessero, a Emiliano e De Luca che presiedono Puglia e Campania purché tutto si svolga entro il percorso previsto dall’articolo 116 della Costituzione».
LE PROSPETTIVE
Articolo che prevede possibili allargamenti dell’autonomia regionale su 23 materie e che è già il punto di riferimento di Emilia e Lombardia. La prima Regione ha approvato una delibera che indica quattro aree di macro-interventi: lavoro; imprese; sanità e governo del territorio. L’obiettivo della giunta guidata da Stefano Bonaccini è quello di aumentare il proprio livello di autonomia su una quindicina delle 23 materie previste dalla Costituzione. In concreto l’Emilia punterebbe, tra l’altro, alla possibilità di aprire un Politecnico regionale e ad avere i pieni poteri sui ticket sanitari (che non rispetterebbero più le rigide direttive del governo).
Anche la Lombardia di fatto ha già aperto il confronto col governo (ieri l’assessore al Bilancio del Pirellone, Massimo Garavaglia ha incontrato Bressa a Roma che a sua volta ha visto il presidente dell’Emilia) con l’obiettivo di allargare i propri poteri su 18 o 21 delle materie oggetto di trattativa. Il numero delle materie oggetto di trattativa costituisce una notizia di peso poiché, stando alle dichiarazioni fornite da Garavaglia alle agenzie di stampa, la Lombardia sarebbe pronta anche a rinunciare all’obiettivo di allargare i propri poteri su tutt’e 23 le materie “concorrenti” previste dalla Costituzione.
STRADA IN SALITA
Un invito che difficilmente Zaia accetterà. Il disegno di legge approvato dalla giunta veneta, solo poche ore dopo la chiusura delle urne, avanza richieste che sono già state dichiarate inammissibili dalla Corte Costituzionale. A partire dalla volontà di tenere nel territorio, come previsto dall’articolo due del documento, i nove decimi delle entrate. La Consulta aveva bocciato l’ammissibilità di un quesito referendario simile. Ciò che è uscito dalla porta vorrebbe esser fatto rientrare dalla finestra. Non solo. Ognuna delle singole materie oggetto di possibile trattativa con il governo viene interpretata in maniera molto estensiva. Se, per esempio, per l’Emilia Romagna avere più competenze sull’istruzione significa chiedere di poter gestire con più autonomia la formazione tecnico-professionale per combattere la dispersione scolastica, per il Veneto la richiesta è di avere ogni competenza sulla scuola, a partire dalla titolarità dei rapporti di lavoro dei professori. O ancora. Sebbene la materia fiscale sia esclusa dalla trattativa, il Veneto interpreta la possibilità di avere maggiore autonomia sulla previdenza complementare con l’avere il gettito della tassa sui fondi pensione. Con questi presupposti, come ha ricordato Bressa, non ci può essere trattativa.
Referendum autonomia, il governo frena Zaia: «Su queste richieste non si può trattare»
di Andrea Bassi e Diodato Pirone
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Mercoledì 25 Ottobre 2017, 00:30 - Ultimo aggiornamento: 26 Ottobre, 20:12
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