Sacchi: «In un Paese che si vende l'anima Berlusconi voleva vincere solo meritando»

Sacchi: «In un Paese che si vende l'anima Berlusconi voleva vincere solo meritando»
di Ugo Trani
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Venerdì 14 Aprile 2017, 13:06
ROMA «Sono addolorato io per l'addio, figuriamoci lui. Il suo, per il Milan, è stato amore puro». Arrigo Sacchi è il simbolo dei 31 anni dell'era Berlusconi. Che, da presidente rossonero, sfidò la Scala del calcio assumendo lo sconosciuto tecnico di Fusignano, dopo aver avuto in panchina, nella stessa stagione, il senatore Liedholm e il giovane Capello. «Un innovatore fin dall'inizio, quando mi volle come allenatore».
Fu sorpreso per quella chiamata che, trent'anni fa, fece scalpore?
«Gli diedi del matto. E al tempo stesso pensai che fosse un genio. Perché mi sono reso subito conto che era un giorno avanti agli altri. Ha contribuito, già all'alba della sua avventura da presidente, ad elevare il livello del nostro calcio. Che gli dovrà essere per sempre riconoscente».
Può spiegare perché?
«È stato grandissimo. Basta prendere l'elenco di quanto è successo da quando è entrato nel calcio, dagli sponsor alle tv. Il Milan ha trainato le altre società e i suoi colleghi presidenti lo hanno copiato. Molti addirittura lo hanno seguito più per emulazione che per convinzione. Il suo Milan ha avuto grandi campioni. E, pur prendendo anche gli stranieri, puntò sempre sui giocatori italiani. Ieri con me, oggi con Montella».
Come è stato il rapporto con Berlusconi?
«Firmai in bianco e per un anno. Mi ha difeso, davanti ai calciatori, quando sono stato in difficoltà e mi ha aiutato in tutto. Non ha mai smesso di chiamarmi. Mercoledì mi ha anticipato l'addio: Ho troppe cose da seguire e ormai faccio fatica'. Si riferiva alla politica. Mi ha ricordato quanti soldi ha investito per la sua grande passione. Io gli ho detto che molti gliel'ho fatti spendere io...».
A qualche suo collega ha spesso consigliato la formazione da mettere in campo. Non è che lei è stato il primo della lista?
«A me ha solo chiesto di giocare bene. Non gli è mai piaciuto vincere senza meritare. E in un paese in cui per raggiungere qualcosa si è disposti a vendere l'anima al diavolo, il suo comportamento è solo da elogiare. Unico».
Quale è stata l'ultima volta che Berlusconi ha pensato di riportare Sacchi al Milan?
«Gli dissi no tre anni fa. Fui sincero, spiegandogli di non essere più in grado di guidare una squadra. Ho sempre chiesto la vita ai giocatori e anch'io l'ho data per questo mestiere».
Come fu il primo incontro?
«Mi volle conoscere quando con il Parma vincemmo a San Siro contro il Milan che aveva appena acquistato Donadoni, Massaro, Giovanni Galli, Bonetti e Galderisi: 1 a 0, gol di Fontolan. Quel successo ci permise di qualificarci da primi nel girone di Coppa Italia. I rossoneri passarono da secondi. Mi disse che mi avrebbe seguito in B, cioè in campionato, per valutarmi nel lungo periodo».
Come ha convinto Berlusconi?
«Eliminando, nella stessa stagione, il Milan negli ottavi di Coppa Italia. Vincemmo ancora a San Siro: 1 a 0, rete di Bortolazzi. Mi scelse quella sera: Siete più squadra, noi non giochiamo così'. Era estasiato dal pressing, dai terzini che partecipavano ad ogni azione e dal mio 4-3-3 offensivo con tanti giovani tra i titolari. La gara di ritorno, con Capello al posto di Liedholm sulla panchina, finì 0 a 0. A Parma credevano che avessi la testa già al Milan: in Italia siamo abituati a pensar male. Io, invece, ai miei giocatori ricordai che ero ancora il loro allenatore e con loro volevo vincere e soprattutto di farlo con il gioco. Berlusconi, del resto, mi aveva scelto per quel motivo...».