Rieti, Diego Crescenzi dopo il titolo
europeo sogna quello mondiale:
«Dura, ma ce la metterò tutta»

Diego Crescenzi
di Giacomo Cavoli
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Giovedì 7 Giugno 2018, 10:57

RIETI - Dopo nove anni, Diego Crescenzi scende dalla bici e riprende fiato. Giusto il tempo di raccogliere una tempesta di complimenti, pacche sulle spalle e, di nuovo, risalire sul sellino che nel bike trial è, più che altro, un eufemismo. L’enfant prodige che a sei anni, nel 2009 - senza ancora l’età regolamentare per farlo - gareggiò fuori competizione nella tappa italiana organizzata a Santa Rufina e nel 2010, a sette anni, agli esordi della categoria Poussin conquistò già il suo primo titolo italiano – poi replicato nelle successive due stagioni da esordiente - continua a strafare nei risultati ma senza peccare di superbia.
 

Salutato dagli amici di sempre e dal consigliere comunale con delega allo Sport Roberto Donati, Diego sceglie di festeggiare se stesso e il titolo di campione assoluto appena conquistato al Rieti Bike Park, i duemila metri quadri inaugurati il 23 luglio del 2016 all’interno del parco “Vittime 6 aprile 2009” di viale Liberato per offrire allo sport in città un nuovo punto di ritrovo del bike trail del quale Crescenzi, oggi consapevolmente - ma nove anni fa ancora no – è diventato indiscusso traino locale e nazionale.
 

GLI ASSALTI EUROPEI E MONDIALI
 

«Ormai sono nove anni che vado in bici – tira le somme Diego, 15 anni compiuti il 23 maggio - Ho portato a casa sette titoli italiani e quindi il percorso è stato intenso ma è ancora lunghissimo: ci sono ancora le altre classi da affrontare e arrivare alla massima categoria dell’Elite è il sogno di tutti. Raggiungerla, per me vuol dire anche conquistare il titolo mondiale che mi manca».
 

Nel frattempo, non è si è fermato certo ad osservare i colleghi di categoria: soltanto fra i Poussin, la classe degli esordienti, oltre ai tre titoli italiani, nel 2011 e 2012 tentò già i primi due assalti europei e mondiali (due volte terzo iridato, nel 2012 e nel 2015, sesto nel 2017): «Ho vinto questo titolo europeo che ho sfiorato due volte, arrivando secondo nel 2012 e nel 2015, e finalmente sono riuscito a portarlo a casa con molta fatica – racconta – E’ stato un successo sofferto, in una zona difficile come la Repubblica Ceca (a Brezova Skolov, ndr) e contro avversari duri da battere. E’ stata sofferta perché, anche se ho girato a zero penalità, queste sono le gare più difficili dove bisogna essere concentrati durante tutto il tempo e senza sbagliare mai. Se si commette un errore è quasi impossibile recuperarlo, mettere il piede a terra è un attimo, non te ne accorgi nemmeno e gli avversari se ne approfittano. Però ce l’ho messa tutta, mi sono preparato per quest’evento in prova unica e quindi vincere è stato il massimo, sono contentissimo». Prima ancora della Repubblica Ceca, c’è da aggiungere la prima tappa in Slovacchia – vinta, naturalmente – della Coppa Europa, in attesa del bis finale in Spagna.
 

La ciliegina sulla torta che tormenta i suoi desideri, però, resta il titolo iridato: «Quest’anno il campionato mondiale sarà ad agosto, in Sardegna. Sto lavorando, mi sto preparando per quest’obiettivo dopo aver centrato il primo della stagione, quello europeo. So che non sarà facile, perché ora gli avversari saranno ancora più aggressivi con me, ma concorrere con i più forti al mondo è un segno importante, cioè che posso stare fra i migliori. Allenarsi in bici, adesso, però, non basta più: se continuerò lungo la strada della preparazione alternando alla bicicletta le altre attività che supportano il bike trial, allora potrò arrivare a sperare in un titolo mondiale. Ma soltanto con tanto lavoro e impegno».  
 

I VIAGGI IN SPAGNA E LO SPORT A SCUOLA
 

Il vizio di anticipare le partecipazioni nelle competizioni della categoria successiva, però, non lo ha mai smesso: «Attualmente sto affrontando il campionato italiano negli Junior. So che il mio livello può essere di quella categoria. Alla fine ci si finisce per pensare che, prima o poi, si gareggerà nella classe successiva. Però preferisco comunque fare un percorso alla mia portata, non troppo semplice ma nemmeno impossibile».   
 

Almeno una corsia preferenziale, però, l’ha trovata, nella scuola: «Frequento il primo anno del liceo scientifico Jucci ad indirizzo sportivo. Sono stato fortunato, perché un corso del genere non si trova in tutte le città e questo mi aiuta nello sport, anche nei momenti in cui sono costretto ad assenze sportive, sempre giustificate. E fare attività anche all’interno delle ore scolastiche, per me, è davvero il massimo. Non potrei chiedere di più». Una volta al mese, di sicuro, è sopra un aereo, diretto in Spagna dove, dal 2010, è fra i pupilli del campione del mondo Dani Comas: «In Catalogna, a Barcellona sono stati uno dei primi ad andare da Dani – racconta Diego - Tutti i migliori raider del mondo vanno da lui, ha una preparazione incredibile e dà dei consigli che qui in Italia non ricevi e perciò non cresci. Ma se si vuole migliorare bisogna scoprire nuove realtà, nuovi percorsi, nuove tecniche, bisogna rimanere sempre aggiornati».  
 

IL CUORE DENTRO LA TV
 

Mentre Crescenzi parla, fuori dal tracciato ad ostacoli disegnato nel Bike Park è un turbinio di esordienti e coetanei adolescenti: «Con questa iniziativa spero di essere riuscito a smuovere l’ambiente – confida Diego - Anche questo è fra i miei obiettivi. Abbiamo aperto il Bike Park per dare uno spazio in più ai giovani di Rieti e in un anno e mezzo, qui, contiamo già più di venti praticanti. Non ci saremmo aspettati di avere così tanta affluenza».

Nulla sembra scalfire la sua calma serafica nel parlare, così plasmata dalla necessità della padronanza dei tempi della tv che, dopo le diverse ospitate in Rai, gli ha persino consentito di figurare nell’ultimo lavoro editoriale di Osvaldo Bevilacqua, storico conduttore di “Sereno Variabile”. Evidentemente, lo schermo deve aver bucato anche il cuore del piccolo di casa Crescenzi, con una velata strizzatina d’occhio ai trascorsi da showman di papà Fabio: «Un giorno mi piacerebbe portare la bici in giro – rivela - far conoscere questo sport ovunque possibile e attraverso  i media, sfruttandolo come immagine».
 

Ma nessuno gli parli di crisi da figlio d’arte di papà Fabio: «Una cosa che fai soltanto perché sei figlio d’arte non dura troppo.

Prima o poi finisci per smettere. Non mi sembra il mio caso».

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