Rieti, addio al maresciallo Marcello Rampini
indagò sul covo delle Ucc scoperto a Vescovio

Marcello Rampini
di Massimo Cavoli
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Sabato 20 Agosto 2016, 19:39 - Ultimo aggiornamento: 20:10
RIETI - Aveva diretto il reparto Operativo dei carabinieri di Rieti a cavallo tra gli anni 70 e 80, collaboratore prezioso dei vari comandanti succedutisi alla guida del gruppo provinciale carabinieri di Rieti quando la sede si trovava in via Cintia.

L'Arma, presente con alcuni rappresentanti dell'Associazione carabinieri in congedo e con il presidente maggiore Argiolas che ha letto la preghiera del corpo, ha salutato questa mattina nella chiesa di San Michele Arcangelo Marcello Rampini, storico maresciallo e cavaliere del lavoro originario della provincia de L'Aquila, scomparso a 88 anni, che a Rieti era giunto nei primi anni della carriera e dove aveva scelto di restare, diventandone un reatino adottivo. Qui, insieme a sua moglie, aveva cresciuto i suoi tre figli ed era rimasto a vivere anche dopo aver smesso la divisa, alternando la frequentazione di vecchi colleghi di servizio con i quali era immancabile il rito del caffè quotidiano in piazza del Comune, con una piccola casetta a Cantalice dove amava trascorrere, finchè la salute glielo ha consentito, qualche ora di serenità in campagna.

Figura discreta, a Rampini furono affidati a lungo anche i rapporti con la stampa (era lui a preparare il "mattinale" con le notizie) che seppe abilmente gestire soprattutto in occasione di grandi eventi di cronaca dove era richiesta una particolare riservatezza per tutelare le indagini, e affiancò il tenente colonnello Matteo quando, nel 1978, fu scoperto a Vescovio, nel comune di Torri in Sabina, il covo delle Unità Combattenti Comuniste. Momenti di grande intensità investigativa (l'inchiesta condotta dal sostituto procuratore Giovanni Canzio portò a 23 arresti e a smantellare il gruppo fuoriuscito dalle Brigate Rosse) che il maresciallo ancora ricordava: "La scoperta del covo fu il risultato di una grande attenzione riservata dai carabinieri a tutto il territorio provinciale. Il colonnello Matteo, in persona, affiancava i suoi uomini e il giudice Canzio nelle diverse battute perchè l'allarme terrorismo era cresciuto dopo l'omicidio del colonnello dell'Arma Varisco e alcuni attentati avvenuti a Roma. La tensione era talmente alta che io stesso avevo ricominciato a girare con la pistola".

Un rigore, quello del maresciallo scomparso, ancora oggi ricordato e non di rado le pattuglie di passaggio, quando lo incontravano, non mancavano di salutarlo. Una figura di altri tempi che in tanti, questa mattina, hanno voluto richiamare.
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