Da Marco Polo al Novecento, i grandi viaggi che cambiarono il mondo

Da Marco Polo al Novecento, i grandi viaggi che cambiarono il mondo
di Roberto Bertinetti
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Lunedì 19 Ottobre 2015, 23:59 - Ultimo aggiornamento: 21 Ottobre, 00:27
«Credano le Vostre Altezze che quest'isola e le altre sono altrettanto loro quanto la Castiglia, che qui c'è solo da stabilirsi e comandare loro di fare ciò che si voglia». Così scrive Cristoforo Colombo nel 1493 in una lettera ai sovrani spagnoli, elencando poi quello che, oltre all'oro, si potrà ricavare da successive traversate: spezie, cotone, mastice, legno d'aloe, schiavi "scelti tra gli idolatri", rabarbaro, cannella e altre merci pregiate. Dai giornali di bordo di Colombo e dei suoi contemporanei che affrontarono i pericoli del mare si evince con chiarezza come la naturale sete di conoscenza fosse mescolata con la brama di ricchezza. Tra esploratori e pirati c'era poca differenza ci ricorda Attilio Brilli aprendo Il grande racconto dei viaggi d'esplorazione, di conquista e d'avventura (il Mulino, 562 pagine, 48 euro).



Anzi, aggiunge, spesso la stessa persona decideva in base alla convenienza in quale ruolo presentarsi. Le rotte tracciate mentre attraversavano gli oceani a bordo di navi veloci e ben armate consentirono la nascita di una nuova epoca nella storia del mondo. Con grandi vantaggi per gli occidentali, accusati in seguito da Adam Smith di aver reso «rovinoso e distruttivo per molti paesi sfortunati un evento che avrebbe potuto essere benefico per tutti».



IL MODELLO

Nel suo eccellente volume lo studioso sottolinea che per gli italiani è Marco Polo il modello al quale ispirarsi. Perché Il Milione costituisce la prima testimonianza in cui si dà prova di un atteggiamento pragmatico sommato ad ansia di conoscenza. Il commercio offre l'opportunità di arricchirsi e, nello stesso tempo, di esplorare universi sconosciuti cercando di carpirne i segreti. Dirà poi Leon Battista Alberti che il mercante "deve sempre avere le mani tinte d'inchiostro". Il riferimento è all'inchiostro dei conti delle merci trattate, dei resoconti delle strade percorse, dei paesi visitati. Notizie preziosissime quest'ultime in un periodo in cui veneziani o genovesi si proiettano verso lontanissime mete su piste o rotte in gran parte mai utilizzate in precedenza. Spiega Brilli: «L'alto numero di memorie redatte al ritorno si spiega con la loro funzione.



Servivano informazioni di prima mano e aggiornate sui paesi e sui popoli con i quali si volevano avere relazioni commerciali. In particolare se era indispensabile contrastare le mire di espansione delle grandi potenze». La battaglia dei mercanti italiani contro i governi di Inghilterra, Spagna, Portogallo è un tratto ineliminabile della tenacia che, secondo lo studioso, costituisce un elemento dell'identità nazionale. Ne è un esempio Francesco Carletti, che nella parte finale del Cinquecento raggiunge via mare il Messico per poi arrivare in Cina e in India e far ritorno in patria centrando un obiettivo inseguito da tempo dai pirati al soldo della regina Elisabetta e della City londinese.



Oltre ai prevedibili pericoli costituiti dalle tempeste, a volte i viaggi di esplorazione e conquista potevano nascondere sorprese. Ne fu testimone, e in seguito cronista, Louis-Antoine de Bougainville che nel 1771 racconta in un libro l'approdo a Tahiti, nel cuore della Polinesia, dove scopre abitudini sessuali assai diverse da quelle europee: «La ragazza lasciò negligentemente cadere il perizoma che la copriva e si mostrò agli occhi di tutti come Venere quando apparve al pastore di Frigia». Comprensibile l'entusiasmo dei marinai francesi per le abitudini delle donne tahitiane, mentre è più prudente Bougainville, preoccupato di un possibile "contagio" di mentalità. In ogni caso il suo testo dà origine in Europa al mito delle polinesiane, icona dell'esotismo femminile sino al secolo scorso.



A differenza dell'Asia o delle Americhe l'area islamica appare a lungo impenetrabile e misteriosa. Tra i primi a far luce sul vicino Oriente c'è Richard Francis Burton, il cui viaggio verso le città sante è finanziato a metà Ottocento dalla Royal Society e poi riassunto nel 1855 in Personal narrative of a Pilgrimage to Al-Medina & Mecca. Il suddito di Vittoria ha l'istinto dell'esploratore cui si somma quello dell'agente segreto: travestito da arabo riesce, infatti, a riprodurre i luoghi visitati disegnando su fogli che non eccedono il palmo di una mano mentre si sposta a dorso di cammello o finge di dormire.



Un'accoglienza principesca viene invece preparata nel desertico Neged per i coniugi Blunt. A ospitarli tra il 1878 e il 1879 è l'emiro Mohammed inb Rashid, stupito di incontrare due europei in grado di parlare la sua lingua. Per Lady Blunt, inoltre, si aprono le porte dell'harem. In seguito i resoconti di Burton e dei Blunt vennero utilizzati dal Foreign Office per istruire gli ufficiali inviati in un'area ritenuta di importanza strategica per proteggere gli interessi britannici.

All'inizio del Novecento, afferma Brilli chiudendo la sua indagine, il "fardello dell'uomo bianco" celebrato da Kipling che per secoli aveva ispirato i viaggi di conquista stava diventando un ricordo del passato, i popoli colonizzati iniziavano a reclamare libertà e indipendenza. Dopo la seconda guerra mondiale, smembrati gli imperi, le carte geografiche acquisirono nuovi colori, le penetrazioni commerciali presero a seguire altre strategie. E molte mappe a lungo familiari agli europei dovettero essere ridisegnate.
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