Terni, amerino in lite per l'eredità viene mandato a processo dal fratello: la sentenza dopo sei anni

Processo infinito perché l'imputato, arrestato in India e ora condannato a pagare 500 euro, chiedeva l'interrogatorio

Terni, amerino in lite per l'eredità viene mandato a processo dal fratello: la sentenza dopo sei anni
di Nicoletta Gigli
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Domenica 8 Ottobre 2023, 01:10

TERNI - Un amerino di 55 anni era finito a processo per violazione domicilio aggravata con danneggiamento sulle cose e sulle persone per aver fatto irruzione, nel 2017, nell’appartamento della madre dove c’era anche suo fratello.

Sei anni dopo, tra le peripezie di un processo a dir poco complicato, il giudice si pronuncia per la tenuità del fatto e lo condanna a pagare al fratello 500 euro.

Le udienze sono state bloccate per anni perché lui, cultore di scienze orientali, finito a processo dopo la denuncia del fratello 54enne, tre anni fa era stato arrestato in India per la detenzione di oltre un chilo di cannabis ed era finito in carcere.

L’imputato, difeso dall’avvocato Andrea Temperanza, voleva essere interrogato a tutti i costi e dopo diversi rinvii delle udienze, il giudice aveva avviato la procedura di rogatoria con collegamento in videoconferenza per sentirlo dal carcere indiano. Una procedura lunga e complessa al punto che nel frattempo l’amerino è stato scarcerato ed è tornato a Terni per raccontare al giudice la sua verità.

La tormentata vicenda giudiziaria, nata perché i rapporti tra i due fratelli erano da tempo tesi per via delle significative proprietà di famiglia che si erano divisi, si è chiusa dopo sei anni con la sentenza del giudice, Chiara Mastracchio.

Dopo aver escluso la punibilità del 55enne per la “particolare tenuità del fatto” ha determinato il danno in 500 euro da versare a suo fratello che, attraverso l’avvocato Attilio Biancifiori, si era costituito parte civile.

In aula sono emersi i tanti punti critici di un rapporto condizionato dalla significativa eredità lasciata dal padre dei due. Una situazione degenerata a luglio 2017, quando per l’accusa si era introdotto a casa della madre, ad Amelia, forzando l’ingresso del giardino e frantumando un vetro, avventandosi contro di lui di fronte all’anziana donna. Ne era nata una colluttazione e sul posto arrivarono i carabinieri di Amelia.

Il 55enne ha negato di aver fatto irruzione della casa dove abitava sua madre, deceduta durante l’infinito processo. Una villa che peraltro, nel testamento del padre benestante, era stata assegnata in usufrutto a lui.

«Ero andato a casa solo perché dovevo chiarire alcune cose con mia madre e mio fratello, che abitava a Roma e che in quei giorni era suo ospite» ha detto l’imputato.

Ha sostenuto che non ci fossero elementi per ipotizzare la violazione di domicilio in una casa di cui per testamento aveva la disponibilità.

Il tribunale non accolto la sua tesi, ma ha ritenuto che tutto sommato la situazione ambientale fosse tale da dover ridimensionare di molto la gravità del fatto.

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