E trenta, magari stavolta gli daranno anche la lode, visto che le ultime due sono consecutive. Budapest, 31 maggio, José Mourinho si gioca la finale numero 30 della sua carriera: 17 vinte, 12 perse. Finali, non solo europee, chiaro.
Ma la finale è finale, è il termine di un percorso, il bivio conclusivo.
ANNIVERSARIO
Il prossimo 31 maggio saranno passati vent’anni e dieci giorni dal suo primo successo, col “piccolo” Porto (21 maggio 2003), che già aveva una certa tradizione europea ma lui l’ha saputa rinfrescare, regalandogli la Coppa Uefa, in finale - al Estadio de La Cartuja di Siviglia - con il Celtic di Larsson, autore di una doppietta. Era il Porto dell’ex romanista Alenitchev (un gol), Derlei (due), di Vitor Baia, Costinha, Deco. Un successo sofferto, 3-2 dopo i tempi supplementari. L’anno dopo arriva la magia della Champions League e lì si completa il capolavoro, prima di volare altrove. La finale con il Monaco di Deschamps resta memorabile alla Veltins-Arena di Gelsenkirchen: 3-0 reti di Carlos Alberto, Alenitchev, ancora lui, e Deco. Coppa Uefa e Champions in due anni, aveva i capelli neri e poca esperienza da primo allenatore, ma il suo talento, il carisma, si intravedeva e non solo per i successi. Le sue squadre giocavano un calcio meno arrogante di quello attuale, erano più spettacolari, intraprendenti. L’età lo ha trasformato, lo ha reso più pragmatico: i successi hanno condizionato il suo percorso. Mou da innovatore è diventato l’emblema di un calcio asciutto, dalla gestione di piccoli grandi talenti è passato alla selezione di campioni.
E le (grandi) squadre che ha guidato lo testimoniano: ha saputo adattarsi ai calciatori a disposizione e questo è un merito, non un punto di debolezza. Sei anni dopo il trionfo di Gelsenkirchen e una serie di successi sulla panchina del Chelsea in Premier League, arriva il triplete con l’Inter, con tanto di Champions alzata sul cielo di Madrid: Milito, Milito e il Bayern è stato demolito senza appello. Lui ha salutato quella sera stessa, lo aspettava il Madrid, con cui poi ha vinto Liga e Coppa del Re. Il ritorno al Chelsea non è ricco ma una English Football League Cup se la porta a casa. Per poi passare al Manchester United in cerca d’autore, dopo l’addio di sir Alex Ferguson. Mou prova a risollevare le sorti degli insoddisfatti Red Devils e ci riesce: prima di andare via vince la Community Shield, l’EFL Cup e soprattutto l’Europa League, in finale contro l’Ajax: 24 maggio 2017, 2-0, reti di Pogba e Mkhitaryan. Quarta finale e quarto successo in una coppa europea, prima di arrivare alla quinta con la Roma, la Conference lo scorso anno a Tirana, battendo il Feyenoord grazie a una rete di Zaniolo, che ora è molto lontano, mentre Mou ci riprova. Per la sesta volta. Le finalissime non fanno per lui, ma non è questo il caso: le Supercoppe europee le ha lasciate al Milan (29 agosto 2003, 1-0 rete di Sheva), al Bayern Monaco (30 agosto 2013, 7-6 dopo i calci di rigore) e al Madrid (8 agosto 2017, Casemiro, Isco e per lo United, Lukaku). Ma questa, lo ribadiamo, finalissima non lo è. E’ solo una finale. O un finale (con la Roma), il suo.
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