dal nostro inviato
LEVERKUSEN - Dopo Tirana, Budapest! Trecentosettantotto giorni dopo aver eliminato il Leicester in semifinale di Conference League, la Roma di Mourinho concede il bis contro il Bayer Leverkusen, stavolta in Europa League: sarà finale contro il Siviglia. Un trionfo di tattica, sofferenza, sacrificio e cuore.
Un cuore grande, immenso, che ha permesso ai giallorossi di resistere all’inevitabile assalto dei tedeschi.
TROPPO BASSA
Anche ieri sera non è stato semplice. Il Leverkusen parte con il piede sull’acceleratore pressando alto. La linea difensiva guidata da Tah accorcia addirittura sulla mediana. La squadra di Xabi Alonso è così raccolta in 25 metri e costringe la Roma a cercare i lanci lunghi. Su uno di questi Abraham vince il duello aereo con Tapsoba, palla a Pellegrini che spedisce di poco a lato. La Roma c’è, guidata da Matic che si sdoppia su Wirtz e Demirbay, piedi e qualità a servizio dei tedeschi. È proprio la posizione del nazionale tedesco a infastidire i giallorossi perché Azmoun spesso arretra in stile Dzeko cercando la sponda o per lo stesso numero 27 oppure l’asse di destra composto dai velocissimi Frimpong e Diaby. Così facendo la Roma è chiamata ad allargarsi e stringersi in continuazione, stile fisarmonica, spendendo tante energie. E prima o poi l’errore arriva. Fortuna vuole che su una lettura sbagliata di Ibañez, Diaby si allarghi troppo al 12’ e da posizione impossibile colpisca la traversa. Il campanello d’allarme è però suonato. Mou si alza dalla panchina. Invita i suoi a salire, del resto lo schieramento con le due punte doveva essere propedeutico a non trasformare la gara in un assalto a Fort Apache. La pressione del Bayer è però costante: Demirbay impegna Rui Patricio in angolo e poi in una parata a terra. Il problema della Roma è soprattutto nella circolazione del pallone. Eccezion fatta per Matic gli errori si ripetono: Belotti non tiene un pallone che sia uno, Ibañez (con Cristante marcato a turno da Wirtz e Azmoun) chiamato alla costruzione sbaglia molto, Pellegrini e Bove sono assorbiti dai rispettivi compiti di mediano. E come se non bastasse dopo 32 minuti si fa male anche Spinazzola (muscolare): dentro Zalewski.
GINI, L’EQUILIBRATORE
Mou capisce che così non si può continuare a lungo. Perché se è vero che la Roma ha perlopiù concesso tiri da fuori, la squadra è troppo bassa e la pressione va allentata con un calciatore capace di tenere il pallone. Fuori Belotti, quindi, è il turno di Wijnaldum. Pellegrini si alza vicino a Tammy. José ci ha visto lungo un’altra volta. La gara cambia, ora i giallorossi danno l’impressione di controllare più agevolmente. Anche perché l’olandese regala l’equilibrio che mancava e Lorenzo arretrando dà più opzioni di passaggio ai compagni. E diventa più lucido sui calci piazzati: una parabola fantastica per Mancini viene deviata con una spaccata da Tah quando la panchina giallorossa era già entrata in campo per festeggiare. I minuti corrono, il Leverkusen alza i giri del motore: prima Frimpong lascia sul posto Zalewski ma è bravo Ibañez a chiudere. Poi tocca a Rui Patricio salvare su un rasoterra di Demirbay con Mancini che evita il tap-in di Azmoun. Si soffre, è inevitabile, ma sempre senza perdere la testa. Xabi Alonso fa all-in con Adli per Bakker e Hlozek per Palacios; Mou replica con il rientrante Smalling. Ancora brividi per un tiro di Tah deviato da Matic e per una girata di Azmoun di poco a lato. Ma la Roma regge. E al fischio finale di Vincic, dopo gli interminabili 8 minuti di recupero, l’urlo dei 2000 tifosi alla Bayarena si unisce a quello di chi è rimasto in Italia. La Roma è in finale di Europa League.