Il buon giorno si vede dal barista romano

Sari Gilbert
di Sari Gilbert *
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Domenica 17 Novembre 2013, 09:24 - Ultimo aggiornamento: 19 Novembre, 11:50
A New York abbiamo Starbucks, una catena di coffee shops che ha fatto la sua fortuna con una serie di drinks, soprattutto a base di caff, che a me, romana di adozione, sembrano improponibili: caffelatte, cappuccino o frappuccino (quest’ultimo una specie di shakerato giacciato) quasi sempre con l’aggiunta di sapori tipo caramello, nocciola, cioccolato (nero o bianco), noce moscata e uova, menta o altro. A parere di tanti, Starbucks offre un ambiente gradevole, anche per il wifi gratuito. Il “barista” (si fanno chiamare proprio così) di Starbucks, con l’obbligatorio grembiule verde, è noto per la sua disponibilità ad accontentare anche il cliente più eccentrico nella preparazione di bevande sempre più bizzarre. Ma lui (o lei), nulla hanno a che fare col barista romano, secondo me una vera risorsa nazionale.



Se sei, come me, una persona abituata a prendere il primo espresso o cappuccino fuori casa, il barista dà un’impronta importantissima alla tua giornata e perciò quelli con il muso e quelli antipatici sono assolutamente da evitare. La mattina al bar vuoi uno che ti saluti calorosamente, meglio ancora se già conosce il tuo nome. Poi, vuoi uno che sappia dire le battute, sul calcio o altro, che solo un romano sa dire. Terzo, vuoi un barista che capisca quando sei di cattivo umore e chiede notizie e poi dà consigli (o solidarietà). E quarto, se sei fortunato il tuo barista è uno di quelli bravissimi che si ricorda quello che bevi e come lo bevi, cosa non facile in una città dove ognuno ha un gusto proprio: caffè lungo, ristretto, macchiato, corretto, al vetro, cappuccino chiaro, scuro, senza schiuma e così via.



Per quasi tre decenni ho frequentato solo un bar, quello che sta all’inizio di vicolo del Cinque. Per 25 anni il barista, Giancarlo (ora in pensione), preparava il caffè appena mi vedeva uscire dal mio portone, in modo di farmelo trovare pronto sul banco. Giancarlo non era romano, ma dopo decenni nella Capitale ne aveva assorbito lo spirito: era un venerdì mattina e stavo sorseggiando il mio caffè lungo. «Ma che ci fai qui?», mi chiese. «Non è oggi il tuo giorno dal parrucchiere?». Non credo che a Starbucks potrebbe mai capitare questo…



* Giornalista e blogger



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