Se sei, come me, una persona abituata a prendere il primo espresso o cappuccino fuori casa, il barista dà un’impronta importantissima alla tua giornata e perciò quelli con il muso e quelli antipatici sono assolutamente da evitare. La mattina al bar vuoi uno che ti saluti calorosamente, meglio ancora se già conosce il tuo nome. Poi, vuoi uno che sappia dire le battute, sul calcio o altro, che solo un romano sa dire. Terzo, vuoi un barista che capisca quando sei di cattivo umore e chiede notizie e poi dà consigli (o solidarietà). E quarto, se sei fortunato il tuo barista è uno di quelli bravissimi che si ricorda quello che bevi e come lo bevi, cosa non facile in una città dove ognuno ha un gusto proprio: caffè lungo, ristretto, macchiato, corretto, al vetro, cappuccino chiaro, scuro, senza schiuma e così via.
Per quasi tre decenni ho frequentato solo un bar, quello che sta all’inizio di vicolo del Cinque. Per 25 anni il barista, Giancarlo (ora in pensione), preparava il caffè appena mi vedeva uscire dal mio portone, in modo di farmelo trovare pronto sul banco. Giancarlo non era romano, ma dopo decenni nella Capitale ne aveva assorbito lo spirito: era un venerdì mattina e stavo sorseggiando il mio caffè lungo. «Ma che ci fai qui?», mi chiese. «Non è oggi il tuo giorno dal parrucchiere?». Non credo che a Starbucks potrebbe mai capitare questo…
* Giornalista e blogger
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