Berlusconi, i funerali di Stato: Marta Fascina e i figli commossi ringraziano la folla. L'omelia: «Silvio, uomo di gioia»

Mattarella, Meloni, il governo e parte dell’opposizione: un saluto ecumenico

Berlusconi, i funerali di Stato a MIlano. Marta Fascina e i figli commossi ringraziano la folla. L'omelia: «Silvio, uomo di gioia»
di Mario Ajello, inviato a Milano
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Giovedì 15 Giugno 2023, 00:49 - Ultimo aggiornamento: 09:59

Solenne come si addice a un funerale di Stato. Con i corazzieri, il presidente Mattarella che china il capo quando il feretro esce dal Duomo, il governo schierato al completo. E Giorgia Meloni che prima e dopo la cerimonia abbraccia i figli del Cavaliere e anche Marta Fascina, assurta al ruolo di vera moglie e ha impressionato tutti vederla in prima fila, collocata simmetricamente affianco a Mattarella perché questo racconta - come scena madre delle esequie di Berlusconi - non solo l’amore che il Cav provava per lei ma insieme la considerazione, con Marina si trattano da sorelle e la primogenita di Silvio la consola nelle ripetute crisi di pianto durante la messa, che almeno per il momento viene rivolta alla giovane con chignon e tailleur pantalone nero che pare la più fragile di tutti e forse il suo amato non ha fatto in tempo ha trasmetterle del tutto quella lezione di vita che Pier Silvio riassume così prima di entrare in cattedrale: «Papà ci ha insegnato ad essere forti».

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Ed è all’insegna della sobrietà e della misura (non si straparla, non si va per le lunghe) questa cerimonia, però è pur sempre il saluto a un personaggio fantasmagorico e incontenibile come Berlusconi.

E allora, la profonda intelligenza dell’officiante - monsignor Delpini, che capita la difficoltà dell’impresa ha studiato molto sulle parole dell’omelia - è stata quella non di fare il santino di Silvio ma raccontare il personaggio - «Io non l’ho mai conosciuto», confida - per quello che è stato. E sarebbe piaciuta infinitamente a Berlusconi questa omelia, spiazzante per la sinistra: anche quella presente nella persona di Elly Schlein, che non voleva esserci ma le hanno detto di starci, mentre Conte sarebbe venuto se i suoi, più estremisti di lui, non lo avessero fermato. Dall’altare l’arcivescovo di Milano fa l’elogio del vitalismo del Cavaliere - «Desiderio di vita, amore e gioia, ecco chi era Berlusconi» - e ripete in un crescendo ritmico: «Vivere-vivere-vivere» e «gioire-gioire-gioire».

Chi mai, in maniera non moralistica, e anzi teologica, ha parlato del Cavaliere così? Dall’aldilà avrà applaudito Silvio non santo subito, «uno che amava e voleva essere amato, faceva le feste per far divertire se stesso e gli altri», e non si starà offendendo da lassù per la descrizione realistica di cos’è un imprenditore di razza: «Quando un uomo è un uomo d’affari, cerca di fare affari. Ha quindi clienti e concorrenti. Ha momenti di successo e momenti di insuccesso. Si arrischia in imprese spericolate. Guarda ai numeri a forse dimentica i criteri. Non può fidarsi troppo degli altri e sa che gli altri non si fidano troppo di lui». E ancora: «Quando un uomo è un uomo politico, allora cerca di vincere. Ha sostenitori e oppositori. C’è chi lo esalta e chi non può sopportarlo. Un uomo politico è sempre un uomo di parte. Quando un uomo è un personaggio, allora è sempre in scena. Ha ammiratori e detrattori. Ha chi lo applaude e chi lo detesta. Silvio Berlusconi è stato certo un uomo politico, è stato certo un uomo d’affari, è stato certo un personaggio alla ribalta della notorietà». «Lo vogliamo Papa», osserva un ministro con un collega. Poi il ritmo frenetico e quasi futurista (la Velocità di Balla dentro il Duomo di Milano?) dell’omelia si placa e subentra nella storia del Cavaliere la «consapevolezza della finitudine».

 

E Berlusconi l’homo ludens, quello del «vivere e continuare a sorridere», diventa - parola dell’arcivescovo che non lo ha mai incontrato ma ben capito nella sua estetica e nella sua poetica e infatti Pier Silvio in prima fila fa di sì con la testa asciugandosi una lacrima - «un uomo che va all’incontro con Dio» (non più con Io) e «il suo desiderio di gioia trova in Dio il suo giudizio e il suo compimento». Una capolavoro questa omelia. Pronunciata davanti a persone - Gianni e Giampaolo Letta sono nelle prime file, subito dopo quelle dei familiari, poco più in là Fedele Confalonieri e sull’altro lato con Mattarella e Meloni i presidenti delle Camere e della Consulta, Silvana Sciarra, gli ex premier Draghi, Monti, Renzi, Gentiloni, Schlein che non vuole troppo mischiarsi e altri di sinistra in modalità pacificazione un po’ svogliata e più formale che sostanziale - che sembrano coglierne il valore. «E’ un meraviglioso elogio», dicono i più. Antonio Tajani e Fulvio Martusciello, il capodelegazione forzista nell’Europarlamento, i due che hanno pianto nella schiera dei politici, oltre a qualche lacrima di Giorgia, però a commuoversi arriveranno dopo, come tanti: al momento dell’addio, quando il feretro, insieme a una foto super-sorridente di Silvio che sembra avere l’aureola, esce dalla cattedrale circondata dal picchetto d’onore e Marta e i figli la seguono e poi Mattarella e Meloni li abbracciano sul sagrato della chiesa. Davanti a tutti. Marta bacia la bara, Marina la accarezza, e insieme tenendosi per mano quando il carro parte entrano con Pier Silvio in un van nero (in quello grigio ci sono Barbara, Eleonora e Luigi, quello che ha pregato di più durante la cerimonia) e dopo aver mandato quasi timidamente baci di ringraziamento alla folla vanno ad Arcore seguendo il carro che contiene il caro papà. 

LA CERIMONIA POP

E dunque s’è trattato di una cerimonia solenne ma anche pop, considerando la piazza con le bandiere del Milan e gli striscioni «Ciao, Silvio». Una rappresentazione di come un personaggio molto amato ma anche assai divisivo diventa, nel cordoglio e nell’addio, una figura storica che unisce e una sorta di padre della patria (anche se capi di Stato o di governo stranieri, a parte Orban, non abbondavano). Intorno alla bara di Silvio costruita con lo stesso tipo di legno delle chitarre di Jimi Hendrix, il mare di gente, vip e popolo, una mescolanza interclassista come sarebbe piaciuta al defunto, anche se mancano i giovani, sembra voler dire che ciò che è stato non dovrà più essere. Ovvero che la demonizzazione personale politica di qualcuno non ha ragione di esistere e va considerata una vergogna irreplicabile. Chissà quanto la sinistra ne sia veramente convinta, ma almeno in questa giornata fa mostra di esserlo. Mentre Meloni, molto rigorosa nell’ossequio al cerimoniale di Stato, affida a un video e a un tweet, e non a dichiarazioni e sussurri che avrebbero stonato in questa circostanza, il suo pensiero: «Grazie Silvio, non ti dimenticheremo». L’ex premier viene narrato come un «combattente coraggioso e determinato», «uno dei più grandi imprenditori che l’Italia abbia avuto, capace di innovare e costruire nuove strade. Sempre pronto a difendere l’interesse nazionale. Ha governato con l’orgoglio, la visione e l’autorevolezza che una nazione come la nostra merita e richiede. Ha reso l’Italia centrale nello scenario internazionale e ha scritto pagine significative della nostra storia». 

Qui nella cattedrale la storia di Berlusconi c’è tutta. Capello, Sacchi, Inzaghi, Baresi, Albertini, l’intera squadra del Monza. Malagò, Carraro, Lotito e De Laurentiis, a cui tutti chiedono: «Chi sarà il prossimo allenatore del Napoli» e lui sbuffa perché forse è il primo a non saperlo. Lele Mora, Briatore, Boldi che fa coppia con Antonio Razzi, Iva Zanicchi che dice a tutti ma chissà se è vero «vi amo», Gerry Scotti che mescolati agli ambasciatori di Francia e Germania, Signorini e Mentana, Cuccarini e Rita Dalla Chiesa e chiunque altro. L’editore Cairo è quello che più si concede alle telecamere. Dell’Utri spiega a tutti che «occorre ritrovare le spinte delle origini». Denis Verdini ha il barbone bianco, belle bretelle che gli tengono i pantaloni (la figlia Francesca, fidanzata glam di Salvini, sfoggia anfibi ai piedi e la gonna corta) e il permesso di venire al funerale nonostante gli arresti domiciliari. E Mediaset dappertutto. E Galliani, e Briatore, e i renziani («Ma che cosa ci fate a sinistra?») Boschi, Bonifazi, Paita, l’imprenditore Marco Carrai e il super agente tivvù Presta. Boccia e De Girolamo, lui dem, lei ex forzista. Mente piddini e calendiani (ecco Richetti) sono tra l’appartato e il dovevamo essere qui. Angelino Alfano, invece, è proprio dove doveva essere ed è stato accolto calorosamente. Flavio Cattaneo, il numero uno di Enel, è il più rappresentativo del mondo delle aziende pubbliche. Ma ci sono anche gli imprenditori privati, ed ecco Cairo il più disponibile con le telecamere. Confalonieri, entrato in chiesa con Letta, abbraccia l’ex presidente del Senato, Pera. Mentre la ministra Roccella dice a Schlein, che non l’aveva difesa dopo il Salone del Libro di Torino: «E’ importante che tu sia qui». 

«Il nostro Paese ha bisogno di coesione e concentrazione per affrontare le sue sfide e per fare le cose», è lo spartito di Giorgia in questi mesi, e tutti o quasi sono qui a testimoniare non solo il cordoglio per una persona ma il bisogno di emancipazione rispetto alle logiche dello scontro che hanno frenato in questi decenni il progresso italiano. È un funerale molto animato e se non fosse così non sarebbe il funeralone del Cav: impazza il via vai di vip, vip watchers, famiglie allargate, amici e nemici, ricchi e poveri, media e maxi schermi, Ronzulli e i Marta Boys da Ferrante a Benigni e Sorte, Apicella e il capo del Ppe, Weber, per non dire dell’emiro del Qatar, Hamad Al Thani, che quando monsignor Delpini dice «scambiatevi il segno della pace» non capisce e sgrana gli occhi davanti a Mattaerella. Mentre il momento dell’alleluja, e poi quello del suono del silenzio, fanno lacrimare oltre Marta e Marina anche un po’ Pier Silvio. Mentre nel suo viaggio verso l’altrove, Berlusconi non si starà certo lamentando del trattamento ricevuto.

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