Mogol: «Un Premio contro i parrucconi, la sua voce è il respiro della vita»

Mogol: «Un Premio contro i parrucconi, la sua voce è il respiro della vita»
di Marco Molendini
3 Minuti di Lettura
Sabato 15 Ottobre 2016, 00:46
«Sono contento, il Nobel a Dylan è un premio contro i parrucconi». Giulio Rapetti, l’ottantenne d’acciaio Mogol, parte lancia in resta verso quelli che ce l’hanno con l’Accademia di Svezia, colpevole di aver consegnato il prestigioso riconoscimento per la letteratura al capofila dei cantautori. «Stanno cadendo i muri, è un gran segnale» aggiunge, mentre ricorda che c’è stato un rapporto diretto, quando faceva rivivere in italiano le sue canzoni, da La risposta è caduta nel vento, traduzione di Blowin’ in the wind (che cantò anche Luigi Tenco) a Mister Tamburino (la cantò Don Backy), a Come una pietra che rotola (lanciata da Gianni Pettenati). <QA0>

Mogol, come funzionava il rapporto con lo scontroso Bob? <QA0>
«Mi aveva dato l’incarico Albert Grossman, il suo manager. Ogni testo tradotto veniva mandato a Dylan che approvava con un telegramma. Una volta mi arrivò una canzone che non riuscivo a capire, mi pare “Ballad of a thin man”. Feci una traduzione non fedele che lui non approvò. Grossman, allora, ci fece incontrare a Londra». <QA0>

Vi siete chiariti? <QA0>
«Arrivai al Mayfair, dove Dylan aveva un appartamento lussuoso, ma nel seminterrato. C’erano un ragazzo con una cinepresa e una ragazza con il microfono. “Bob vuole filmare la sua vita” mi dissero. Il film poi uscì, era “Eat the document”. Dopo mezz’ora di attesa, mentre da un’altra stanza arrivava il suono di una chitarra, avvertii che me ne stavo andando. Bob sbucò in un secondo, gentile e anche simpatico. So chi sei, mi disse, ma le mie canzoni dovresti rispettarle».

E lei? <QA0>
«Gli chiesi di spiegarmi il testo. Lo prese, fece per parlare, poi disse: “Lascia perdere” e lo stracciò. Ma mi dette un fascio di fogli: “Traduci queste canzoni, allora”, aggiunse. Infine raccontò di quando era stato in Italia, ma nessuno lo caricava con l’autostop e per questo pensava che da noi non c’era molta cordialità». <QA0>

Si riferiva al suo viaggio nel ‘63, quando da sconosciuto cantò anche al Folkstudio. Da allora lei ha smesso di tradurre le sue canzoni. <QA0>
«Decisi di non fare più testi per nessuno». <QA0>

Cominciò il lavoro con Battisti. Dylan vi aveva influenzati in qualche modo? <QA0>
«A me no, non mi sono mai schierato politicamente, tanto che mi han dato persino del fascista. Lucio è stato sicuramente segnato dal modo di cantare di Bob, come Vasco e tanti altri. Prima di Dylan c’era la voce al rosolio, lui ha tolto ogni manierismo con un canto che assomiglia al respiro della vita. Il Nobel lo ha avuto anche per questo».

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Facendo arrabbiare il mondo letterario. <QA0>
«I contrari sono dei rosiconi. L’importanza di Dylan sta non solo nei suoi testi, sta anche nell’emozione della sua voce. Le sue poesie, entrano nel cuore della gente. Oggi poeti come Foscolo o Alfieri non sono più in grado di emozionare la gente. Per fortuna nell’ultimo decennio le cose sono cambiate. Tempo fa mi hanno dato una laurea honoris causa all’Università di Palermo, prima del 2000 nessuno si sarebbe azzardato a farlo». <QA0>








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