Il tassista aiutava gli ebrei a salvarsi in Vaticano, dalla finestra di casa sua al Passetto di Borgo

Il tassista aiutava gli ebrei a salvarsi in Vaticano, dalla finestra di casa sua al Passetto di Borgo
di Franca Giansoldati
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Mercoledì 27 Gennaio 2021, 11:52 - Ultimo aggiornamento: 19:52

Città del Vaticano - Una palanca di legno sospesa in aria, di quelle utilizzate nei ponteggi dei cantieri, lunga all'incirca cinque metri, ha salvato un numero imprecisato di ebrei durante l'occupazione nazista. Serviva a traghettare nottetempo, di nascosto, con la complicità di una coraggiosa famiglia romana, le persone in fuga. Ebrei ma anche perseguitati politici. Veniva fatta scivolare dalla finestra della cucina di un appartamento a ridosso dal muro del Passetto di Borgo. Da lì era facile raggiungere il Vaticano.
L'inedita storia della famiglia Cecchini residente al secondo piano di uno stabile di via del Mascherino, a ridosso dell'antico muraglione, affiora dopo decenni grazie ai nipoti di Cesare, classe 1900, di professione tassista, antifascista convinto, il quale nelle ore più buie di Roma, tra il 1943 e il 1945, seguiva quello che la sua coscienza gli imponeva, a costo di mettere a repentaglio la sicurezza della sua famiglia.


IL SILENZIO
La Capitale in quel periodo era sprofondata in un susseguirsi di eventi feroci. Dopo le leggi razziali volute da Mussolini nel 38, c'era stata l'entrata in guerra, e poi l'occupazione con l'ordine di ripulire il Ghetto e avviare come pecore al macello migliaia di cittadini romani di fede ebraica. In questo contesto denso di pericoli, tra le pagine quotidiane di gente qualsiasi, maturavano azioni di coraggiosa consapevolezza.
«Mia zia Antonietta Cecchini, che oggi ha 83 anni e che all'epoca era una bambina, si ricorda benissimo di quando all'ora di cena si univano spesso a loro persone sconosciute. Dividevano quello che c'era. Poi la mattina successiva non li vedeva più».
LE PERSECUZIONI
A riassumere i fatti è Stefano, 47 anni, nipote di Cesare e di Natalina Cecchini. «Nonno ha sempre fatto il tassista e nonna la portantina all'Umberto I.

Hanno abitato in quell'appartamento fino alla fine degli anni Sessanta, quando il Vaticano, proprietario dello stabile, ha sfrattato gli inquilini per ristrutturare gli immobili e farne degli uffici. Oggi nella casa che è stata di mio nonno e dove è nato mio padre c'è la sede dell'Ispettorato di Polizia». Dai racconti vividi della zia Antonietta è stato possibile assemblare il puzzle che riporta alle persecuzioni anti-ebraiche. «Per lunghi anni mio nonno ha evitato di parlarne. Era fatto così. Ci ripeteva che il bene va fatto ma non va sbandierato. In ogni caso è stata mia zia, testimone dei fatti, a farsi raccontare per filo e per segno da mio nonno cosa accadeva a casa nostra in quel periodo e perché la sera c'erano spesso persone sconosciute che poi al mattino, quando si svegliava non c'erano più. Naturalmente di queste visite non se ne poteva parlare, era vietatissimo».

A notte fonda, ad un segnale convenuto, in genere un fischio, la palanca di legno (che veniva tenuta in corridoio), veniva fatta scivolare dal davanzale da Cesare. «Sul Passetto c'erano delle persone che tenevano ferma l'asse sulla quale i fuggiaschi si mettevano a cavalcioni e a colpi di reni, sospesi nel vuoto, avanzavano fino a raggiungere il muro di cinta. Mio nonno subito dopo ritirava svelto la palanca e la rimetteva nel corridoio».

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