Le puntate di un fallimento: Arena come don Abbondio

La storia di un sindaco caduto sul campo, nonostante l'uso spinto della sua immagine sui social

Le puntate di un fallimento: Arena come don Abbondio
di Carlo Ponzi
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Giovedì 23 Dicembre 2021, 09:33 - Ultimo aggiornamento: 15:03

Perché si è dimesso Giovanni Arena? Perché ha revocato le deleghe a tutti i suoi assessori? Tutta colpa delle annunciate dimissioni dei consiglieri di maggioranza dinnanzi a un notaio? O tutta colpa della insana intesa tra Forza Italia (il suo partito) e il Partito democratico in Provincia che ha fatto ascendere sullo scranno più alto di via Saffi il forzista Alessandro Romoli?

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Per rispondere a questa e altre domande sulle ragioni dello stop anticipato della epopea di Arena a Palazzo dei Priori è necessario srotolare il nastro e ritornare all'anno 0 della consigliatura.

Che non si apre con i migliori auspici, ma cova in sé una sorta di male oscuro. Dopo aver vinto il ballottaggio del 25 giugno 2018 per il rotto della cuffia (appena 530 voti più della competitor Chiara Frontini), il sindaco deve affrontare subito la sortita dell'esordiente assessora Claudia Nunzi (Lega, poi transitata a Fratelli d'Italia) secondo cui il primo provvedimento da adottare è il divieto di chiedere l'elemosina e riceverla, pena la multa a chi chiede e a chi dà.

Notizia ghiotta per gli inviati di mezza Italia che si catapultano nella Città dei Papi per offrire 24 ore di notorietà alla malcapitata ex leghista, poi sollevata dall'esecutivo per garantire la necessaria serenità». Incassata la negativa pubblicità del capoluogo, Arena deve risolvere subito ben altra grana (i cui contorni sono rimasti avvolti nella nebbia): la defenestrazione, per ragioni di opportunità, del vicesindaco e assessore al bilancio Enrico Contardo, uomo forte della Lega, fortemente voluto e imposto dal senatore Umberto Fusco.

Citare la Lega significa ricordare che la maggioranza uscita dalle elezioni (centrodestra unito) ha regalato 6 seggi al partito di Salvini, altrettanti a Fratelli d'Italia e a Forza Italia, due scranni a FondAzione di Gianmaria Santucci. In corso d'opera, grazie ai cosiddetti salti della quaglia da un gruppo all'altro, la Lega si è trovata con la maggioranza relativa in aula (8 consiglieri), senza peraltro incidere in modo significativo sul cammino dell'amministrazione, tale da mugugnare un giorno sì e l'altro pure così le cose non vanno. Col risultato di indebolire il sindaco, novello don Abbondio di manzoniana memoria, vaso di coccio tra due vasi di ferro, appunto Lega e FdI.

Senza considerare il sostegno giudicato alquanto flebile della sua Forza Italia, con il capogruppo Giulio Marini impegnato ad allacciare intese col Pd in Provincia. Le tensioni in seno alla maggioranza, sottotraccia o esplose pubblicamente, hanno punteggiato tutto il percorso del Tenerone (affettuoso nomignolo di cui queste colonne detengono il copyright, coniato negli anni Novanta) la cui gestione è stata caratterizzata da quell'aurea mediocritas che rappresenta lo stigma più rilevante del capoluogo a livello politico, sociale, culturale.

Certo: non va taciuto che ha retto bene e con giudizio lo tsunami della pandemia da Coronavirus, ma su tanti settori della vita cittadina ha preferito (con il disco verde della sua maggioranza) usufruire del regime della proroga (si pensi all'appalto dei rifiuti), rimanendo così nel limbo indistinto del vorrei, ma non posso.
La storia come ricorderà il sindaco Arena (Giovanni Maria, figlio di Salvatore primo cittadino da gennaio 1966 al gennaio 1970)? Sicuramente le migliori pagine saranno dettate per l'uso spinto del virtuale: da un lato i social, dall'altra una collezione spropositata di immagini in tutte le pose possibili per inaugurazioni, convegni, incontri, verifica di cantieri, eventi di varia natura.

Arena, dunque, non mangerà il panettone di Natale cinto dalla fascia tricolore. Né potrà indossarla il giorno del suo 72° genetliaco, il prossimo 18 gennaio. Dies natalis, guarda caso, di ben altri martiri sotto l'imperatore Decio (III sec.) che però sono diventati santi: Paolo e Lucio, vescovi di Cartagine.
 

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