Palazzo Londra, iniziata la requisitoria dell'accusa che conferma l'impianto accusatorio: «Nessun teorema»

Palazzo Londra, iniziata la requisitoria dell'accusa che conferma l'impianto accusatorio: «Nessun teorema»
di Franca Giansoldati
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Martedì 18 Luglio 2023, 22:07

 «Su alcuni piccoli episodi ci siamo ravveduti, grazie al contraddittorio ma l'impianto accusatorio ha tenuto e chiederò condanne. Per noi sarebbe stata una grande sconfitta se i fatti che hanno accompagnato la richiesta a giudizio degli imputati non fossero stati riscontrati. Hanno di fatto confermato lo svolgimento dei fatti». Il Promotore di Giustizia, Alessandro Diddi, dopo una pausa di quasi due mesi, ha dato il via alla fase finale del processo vaticano per la gestione dei fondi della Santa Sede con la prima parte della requisitoria durata circa quattro ore.

«Non si è trattato di un complotto o un teorema» ha scandito illustrando ad ampie linee i fatti che hanno portato al rinvio a giudizio di dieci persone, tra cui il cardinale Angelo Becciu e i finanzieri Torzi, Mincione e Crasso. Ci vorranno comunque altre cinque udienze per definire il quadro davanti al tribunale e chiedere le condanne.  «Non è un processo alla Segreteria di Stato, ma ad alcuni funzionari o meglio ‘servitori’ che non hanno saputo interpretare lo spirito e gli ideali della Chiesa a cui attenere nello svolgimento della professione» ha detto Diddi, in riferimento agli imputati il cardinale Angelo Becciu, sostituto all’epoca dei fatti, l’ex funzionario dell’ufficio amministrativo, Fabrizio Tirabassi, ed Enrico Crasso, per anni consulente finanziario. Il centro della requisitoria resta il palazzo di Sloane Avenue (nel frattempo venduto dal Vaticano) e gli investimenti immobiliari avviati dal Vaticano con Raffaele Mincione (uno dei dieci imputati). 

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SOLDI

Diddi ha ricordato che tutto è stato avviato da due «piccole denunce». Una da parte dell'Ufficio del revisore generale (nove pagine) e dello Ior (due pagine), aggiungendo che «non immaginavamo allora dove saremmo arrivati». Ha poi precisato che non è un processo contro la Segreteria di Stato anche se venne perquisita per la prima volta della sua storia in modo irrituale.

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A suo dire si è trattato di un processo a delle persone, a dei funzionari, o settori, «che non hanno capito quel è la missione della Chiesa, a cui avrebbero dovuto attenersi anche nello svolgimento del servizio». Tra i funzionari coinvolti, all'inizio c'era anche il capo dell'Ufficio amministrativo, monsignor Alberto Perlasca, verso cui è stata però chiesta l'archiviazione.

Una «decisione molto criticata», e sulla quale Diddi si è rimesso a un'eventuale diversa valutazione del Tribunale. Perlasca, ha rimarcato, «non è né un super-testimone né un super-pentito del processo»: tutt'al più «una persona fragile», che nel momento delle testimonianze dell'amica Genoveffa Ciferri e di Francesca Chaouqui è apparso anche «manipolato o manipolabile».

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IL CARDINALE

Quanto al cardinale Becciu – che era presente in Aula –  all’inizio non era nell’inchiesta poi però ha «cercato di intromettersi all’interno delle indagini. Lo abbiamo scoperto dai telefonini di Perlasca, inizialmente indagato, dalle primissime chat che si susseguono, dal momento della perquisizione del primo ottobre 2019 negli Uffici della Segreteria di Stato». Becciu «si intromette pesantemente sulla conduzione delle indagini, su imputati per solidarizzare e poter anche attivare delle campagne stampa nei confronti dei magistrati che svolgevano le indagini».

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CURIA

Ha ricordato i reati di abuso d’ufficio e peculato, ripercorrendo «flussi e vicende» per «capire la natura giuridica dei fondi amministrati». In particolare, »la distrazione dei fondi dell’Obolo San Pietro, in cui confluiscono le offerte dei fedeli per la carità del Papa e il sostentamento della Curia romana». Una ricostruzione, questa dell’uso illecito dell’Obolo, originata da una rappresentazione dell’Ufficio del Revisore. In realtà, ha chiarito oggi Diddi, l’Obolo aveva una «somma irrisoria, non in grado di far fronte alle spese della Curia romana, non c’erano soldi da essere investiti». Si parla quindi di altre somme di denaro, cioè «una cospicua sovvenzione da parte dello IOR» alla Segreteria di Stato che dal 2004 al 2020, stando all’avvocato, arriva ad ammontare 700 milioni di euro conferiti con specifica destinazione: il mantenimento della Curia.

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FINANZIERI

Soldi che, secondo l’accusa, sarebbero stati utilizzati invece per «operazioni scandalose» come il Credit Lombard, il trasferimento di tutta la disponibilità economica della Segreteria di Stato in un unico conto della Credit Suisse per usufruirne degli interessi. A tal proposito Diddi ha chiamato in causa anche defunto cardinale George Pell, ex prefetto della Segreteria per l’Economia. Pell «voleva guardare e illuminare una operazione per cui oggi sono stati tratti a giudizio Becciu, Crasso, Tirabassi e Mincione». E ancora. «Grazie a un patrimonio gestito al di fuori delle regole, si è potuto per anni eludere le regole. Non in maniera casuale ma per vantaggio proprio» ha affermato il promotore di Giustizia, sottolineando – sulla base anche di parole di Perlasca – che da chi allora gestiva i fondi della Segreteria di Stato non erano gradite «intromissioni».

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Diddi ha spesso citato «le norme del Codice canonico» e la costituzione apostolica Pastor Bonus sulla Curia romana. Norme che «non consentivano di svolgere le operazioni» finite al centro del processo. C'è stata un vero «corto circuito del sistema» quando lo Ior ha negato il finanziamento di 150 milioni chiesto dalla Segreteria di Stato, e il direttore generale Gianfranco Mammì disse «noi non possiamo svolgere queste operazioni». Insomma, secondo le norme canoniche la gestione dei beni temporali della Chiesa deve avvenire «per i fini che le sono propri» - nel caso il mantenimento della Sede apostolica e le opere di carità -, e non per «operazioni speculative», anzi «altamente speculative», come hanno ammesso gli stessi consulenti della Terza Loggia. Su questo c'è stata una «grave violazione».

Né si può dire, come ha fatto Becciu, che «si è sempre fatto così», perché mai prima, ha ricordato Diddi, la Chiesa ha pensato di finanziare estrazioni petrolifere o investito, come per il Palazzo di Londra, «in Paesi a scarsa trasparenza finanziaria, come Jersey». «La Segreteria di Stato si sentiva 'legibus soluta'», ha insistito Diddi ricordando le vane richieste nel 2015 del prefetto per l'Economia, cardinale George Pell, e nel 2018 del revisore generale di ricevere le carte sui movimenti finanziari e i bilanci.

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