Per la prima volta un cardinale depone in tribunale contro un altro cardinale, Cantoni però aiuta Becciu

Per la prima volta un cardinale depone in tribunale contro un altro cardinale, Cantoni però aiuta Becciu
di Franca Giansoldati
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Giovedì 1 Dicembre 2022, 20:31 - Ultimo aggiornamento: 2 Dicembre, 12:43

Città del Vaticano – Per la prima volta nella storia del piccolo stato pontificio, durante un processo, un cardinale è stato chiamato a deporre contro un altro cardinale. «Giuro di dire tutta la Verità sul Santo Vangelo».

La vicenda sulla quale oggi pomeriggio è stato interrogato il neo cardinale di Como, Oscar Cantoni è legata a doppio filo a quella della vendita truffa del palazzo di Londra e che vede sul banco degli imputati, tra gli altri, anche l'ex Sostituto alla Segreteria di Stato, il cardinale Angelo Becciu, accusato di peculato e di subornazione di teste. A suo carico, secondo il Promotore di Giustizia, vi sarebbe stato il tentativo di far ritrattare la deposizione del collaboratore di giustizia e suo grande accusatore, monsignor Alberto Perlasca facendo leva proprio sul vescovo Cantoni e suo padre spirituale.

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Il vescovo di Como, la città nella quale è incardinato come sacerdote Perlasca, inizia alle 15 a rispondere a tutte le domande entrando subito nella questione chiave - la subornazione di teste - sgombrando il campo da tanti equivoci.

Racconta così che nell'ottobre 2021 ricevette una telefonata di Becciu che gli chiedeva di andarlo a trovare a casa sua. Voleva parlargli di una cosa delicatissima. In quel periodo il processo per il palazzo di Londra era stato avviato da poco. «Sono venuto a Roma in occasione di una udienza che avevo. So che voleva parlare di una situazione che si era venuta a creare tra lui e Perlasca. L'incontro fu cordiale e fraterno. Becciu mi consegnò tutto il suo dispiacere. Me lo confidò non in quanto responsabile come vescovo di Perlasca, ma in quanto persona di fiducia, dal momento che sono anche suo padre spirituale». Cantoni specifica che questo aspetto gli avrebbe consentito di rapportarsi a Perlasca con “semplicità”. 

Il racconto è continuato: «Becciu mi disse che aveva scoperto che Perlasca aveva detto molte bugie e che queste bugie erano poi state diffuse sui giornali. Mi disse anche che era pronto a perdonarlo nel caso avesse ritrattato, avvisandolo che se non lo avesse fatto sarebbe stato costretto a fare denuncia. Io mi sono sentito molto coinvolto».

Cantoni assicurò Becciu che avrebbe parlato a Perlasca, cosa che fece più avanti, non al telefono ma di persona. «Si trattava di una questione personale e il rapporto tra vescovo e sacerdote è paterno. Ma non è mai stata una imposizione da superiore a inferiore, ma un incontro fraterno». L'unica cosa che Cantoni non fece è parlare anche all'anziano padre di Perlasca per non aggiungergli un fardello. Uscendo dall'aula del tribunale, dopo la brevissime deposizione durata meno di 15 minuti, Cantoni e Becciu si sono salutati con affetto.

Perlasca, interrogato nelle udienze precedenti, sulla subornazione aveva dato una versione meno sfumata affermando che Becciu aveva telefonato a Cantone «per ritirare quello che avevo detto altrimenti avrei preso sei mesi di galera». 

LA PR E L'AMICA DI FAMIGLIA

All'udienza di oggi, tuttavia, una parte rilevante è stata assorbita dal ruolo misterioso avuto dalla pr Francesca Chaouqui nell'influenzare monsignor Perlasca nella stesura del suo memoriale poi servito al Promotore di Giustizia, Alessandro Diddi per strutturare gran parte del suo impianto accusatorio. Le difese (tutte) gli hanno subito rivolto parole di stima e fiducia, sottolineando la sua buona fede.

Di fatto il Promotore di Giustizia sembra essere cascato in un pasticcio surreale con un gran burattinaio - la Chaouqui - che muoveva i fili riuscendo ad orientare Perlasca nella sua deposizione sarebbe la Chaoqui. La donna, già condannata in Vaticano in passato per l'inchiesta Vatileaks 2, avrebbe agito tramite una amica di Perlasca, Genoveffa Ciferri, con la quale poi più tardi ruppe l'amicizia.

Era lei, in virtù dei suoi rapporti di fiducia con Perlasca che trasferiva al monsignore i messaggi fingendo di essere in contatto con un “anziano magistrato”.

L'Ufficio del Promotore di Giustizia ora si trova nella bizzarra posizione di dover fare delle indagini quasi su se stesso per capire la genesi della mole dei messaggi ricevuti dalla Ciferri: una lunga corrispondenza tra lei e la Chaouqui che prova come vi fosse un'asse per indurre Perlasca ad alterare la sua deposizione davanti ai magistrati. 

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Diddi ha esordito ringraziando per la solidarietà degli avvocati. «Io ho fatto l'esame di Perlasca senza avere conoscenza di quello che è contenuto nelle chat che mi sono arrivate sabato. Se qualcuno ha millantato conoscenze, pensato di dare informazioni di atti coperti da segreto, ho il dovere di indagare». Perlasca, di fatto, avrebbe detto cose non vere, in quelle chat si delinea un sottobosco e per questo è stato aperto un fascicolo. «C'è necessità di svolgere un approfondimento per capire la genesi di questo memoriale» ha aggiunto Diddi negando anche di essere stato lui a dare a Chaouqui gli spunti da trasferire a Perlasca. «Potete prender il mio cellulare e fare un lavoro di analisi forense. Non l'ho mai conosciuta, solo nell'altro procedimento (riferendosi a Vatileaks 2)». Mentre il primo contatto, spiega ancora Diddi, con la Ciferri risale al 2019 quando fu contattato dalla donna che gli raccontò la vicenda di Perlasca racchiusa nel memoriale.

Il presidente del Tribunale Pignatone dopo avere ascoltato Perlasca è intervenuto mettendo in evidenza come la Ciferri si sentisse «minacciata e ricattata dalla Chaouqui. La minaccia costituiva nel rivelare al Promotore di Giustizia che la Ciferri aiutava proprio lei. Inoltre che avrebbe fatto sapere a Perlasca che l'anziano magistrato, con il quale lui, pensava di essere in contatto altri non era che la Chaouqui». 

Il presidente Giuseppe Pignatone ha poi respinto le richieste di sospensione e rinvio del processo, annunciando che l'interrogatorio di Ciferri, inizialmente previsto per domani, slitterà al nuovo anno e avverrà insieme alla Chaouqui.

LO IOR NON E' UN BANCOMAT

L'ultimo capitolo della giornata riguarda l'interrogatorio di Gianfranco Mammì, direttore dello Ior che ha chiarito come e perché ha ritenuto, tre anni fa, di non concedere il mutuo di 130 milioni di euro alla Segreteria di Stato. La richiesta era stata fatta dal Sostituto, Pena Parra nel tentativo di estinguere un oneroso mutuo che gravava sul disgraziato investimento di Londra. Mammì ha spiegato che quel finanziamento aveva un importo elevato e per questo voleva comprendere la genesi e la storia.

«Le circostanze lo imponevano», inoltre c'era un parere negativo da parte degli uffici tecnici della banca vaticana che non si era mai trovata a fronteggiare una richiesta simile. «A noi sono sorti tanti dubbi e perplessità, vedevamo il rischio che ci potessero essere sottostanti reati. Questo mi ha imposto come pubblico ufficiale di rivolgermi alla magistratura: a noi quella operazione sollevava dubbi e poi quel tipo di finanziamento non poteva essere fatto dal nostro istituto. Operazioni del genere non erano mai state fatte prima». 

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