Ristoratori verso la ripartenza
Il Vinaio molla, la sfida di Ristò
Viaggio tra i ristoranti di Terni

Caterina Casadei
di Aurora Provantini
5 Minuti di Lettura
Giovedì 14 Maggio 2020, 17:11 - Ultimo aggiornamento: 18:30

«Sicuramente non riapriremo il 18 maggio». Caterina Casadei, gli occhi verdi ereditati dalla mamma Tania, che incastonati tra la toque blanche e la mascherina sembrano ancora più luminosi, è in cucina a preparare le pietanze da asporto. Un servizio che garantisce solo da pochi giorni, dopo che per due mesi ha dovuto tenere le saracinesche del suo ristorante abbassate. «Il lockdown ci ha causato un danno che non si può quantificare al momento, perché non si tratta solo della perdita di fatturato, ma di tutto quello che la situazione emergenziale porterà poi». Il Vinaio, in via Cavour, aveva festeggiato i dieci anni con un evento cittadino, lo scorso giugno con musica dal vivo e street food di qualità. Uno di quei locali tipici della movida ternana, figlio del legame col territorio e della tradizione familiare, perché ad aprirlo è la figlia di colei che nel 1992 inaugura il Caffè Clai, ovvero un modo di vivere la città nuovo, consumando cocktail e musica fino a tarda notte. «Al di là del fatto che non si può annunciare la riapertura obietta Caterina - con così poco anticipo e senza indicazioni precise, non tenendo conto che all'interno della gestione di ogni attività ci sono delle procedure da seguire sia per organizzare la logistica che per richiamare i dipendenti in cassa integrazione, la decisione di non riaprire si basa su banalissimi calcoli. Perché se è vero che dovremo poter garantire lo spazio di quattro metri quadrati a persona e la distanza di due metri tra i tavoli, a fronte di pari uscite avremo meno di un terzo delle entrate. All'esterno noi di solito mettevamo 50 posti che con le nuove disposizioni diventerebbero 16, e questo significherebbe rimetterci».

«Il Governo centrale parla di sospendere la tassa sull'occupazione del suolo pubblico, ma il Comune di Terni dice che trovandosi in uno stato di dissesto economico può solo concedere nuovi spazi, ma dove? E poi l'emergenza sanitaria impone distanziamenti sempre, quindi lungo le vie andranno anche lasciati dei corridoi per il passaggio». Per Caterina non solo l'ampliamento dell'occupazione suolo pubblico è un palliativo, ma tutta la situazione in genere è complicata. «Altri ristoratori sono contenti di ripartire, ma secondo me non c'è niente per cui essere contenti. Innanzitutto non si sa quanto durerà questa fase transitoria, e comunque la nostra categorie ha bisogno di linee guida chiare in base alle quali ciascuno di noi possa decidere se restare chiuso temporaneamente o per sempre, se tentare la ripartenza o addirittura valutare una riconversione». «Il nostro è un lavoro che ci garantisce di vivere dignitosamente, ma certo non ci fa arricchire. Per un ristorante come il mio, con 240 mila ero di fatturato annui, essere restati fermi due mesi è stato un danno che mai avremmo immaginato di subire. Anche per questo non abbiamo margini di errore. Per ora le indicazioni governative sembrano insostenibili». Il ristorante Piazzetta in via Cavour, riapre. Sta riorganizzando la sala ma non metterà il pannello di plexiglass alla cassa, perché riesce a garantire il distanziamento avendo un bancone molto profondo. «Stiamo valutando diverse soluzioni dice Federico - anche quella di lasciare l'arredamento così com'è e far sedere i clienti in tavoli lontani. Certo potremo accogliere solo la metà delle persone rispetto a prima, ma ripartire è un modo per vedere cosa verrà poi. C'è incertezza per tutti e sicuramente anche i flussi saranno ridotti perché le persone hanno paura del Covid-19 e si sono in qualche modo abituate a restare in casa. Ci vorrà un bel po' per riprendere le vecchie abitudini. Abbiamo cento metri quadrati calpestabili e potremo accogliere venti persone, la metà esatta rispetto a prima. Siamo stati fermi per due mesi, dal 4 maggio ci siamo organizzati con il servizio da asporto e la consegna di pasti a domicilio. La riapertura a queste condizioni è anche un modo per tamponare le spese». Sulla proposta dell'amministrazione comunale di concedere nuovi spazi all'aperto a canone ridotto, dichiara: «anzitutto non ci sono posti perché ogni locale in questa zona è attaccato all'altro, poi sembra più un palliativo che un sostegno alla nostra categoria».

Alessandro Paolucci, del Ristò da Ale in via Fratini, non si è mai fermato invece: «con mia moglie e mio figlio ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo garantito la consegna a domicilio di pizze sempre.

Dal 4 maggio facciamo anche piatti da asporto e stiamo aspettando i protocolli dell'Inail e dell'Istituto Superiore di Sanità, ma messi bene per iscritto, per riorganizzare gli spazi. Sarà dura, i dipendenti in cassa integrazione non hanno ricevuto un soldo e questo ci preoccupa per loro, anche perché non saremo in grado di farli rientrare al momento. Tra distanze da garantire all'ingresso, all'uscita e tra i tavoli, avremo meno di un terzo di posti a sedere. Abbiamo retto alla botta facendo fronte con i nostri risparmi, senza chiedere finanziamenti. All'aperto non so come si potrà fare, anche questa cosa che la Tosap non sarà scontata di un centesimo è assurda. Sono quasi quarant'anni che sto nella ristorazione e mai avrei immaginato di vivere un momento così duro. Prima di chiudere tento la ripartenza». Non saranno dunque i più audaci a riaprire, ma quelli che hanno locali adatti alla ristrutturazione imposta dalle misure anti Covid-19. Nicola Cerullo (Caffè Repubblica), in attesa di studiare le linee guida, fa le prove distanziando i tavoli e calcolando l'ingombro delle sedie in piazza, accanto all'edicola. «Anche il problema dei dispositivi di sicurezza preoccupa la categoria - dice Cerullo - perché adesso ad esempio non si trovano i guanti monouso, e quelli se ne consumano a dismisura in una giornata, perché li cambiamo continuamente. La speranza è che la pandemia passi presto».

© RIPRODUZIONE RISERVATA