Terni, addio all'Ast: le storie di chi
ha lasciato la fabbrica in cerca di fortuna

Lo sciopero generale a sostegno dell'Ast
di Sergio Capotosti e Vanna Ugolini
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Giovedì 23 Ottobre 2014, 18:52 - Ultimo aggiornamento: 24 Ottobre, 10:05

TERNI Addio all’Ast. Per provare a realizzare un desiderio. Per un bar alle Canarie. Per trovare lavoro all’estero. Addio all’Ast soprattutto per la grande delusione «di un governo che non dà prospettive e non riesce a sostenere nemmeno quello che di buono ancora c’è in Italia» e di un sindacato che «non dà garanzie». Le tute blu degli anni ’70 non sono più così compatte e, magari, preferiscono indossare il grembiule da barman.

Lontano da viale Brin. Sotto ai trent’anni, senza famiglia e con mille sogni nel cassetto da realizzare, nessuno dei quali prevedeva il lavoro in fabbrica. È questo l’identikit dell’operaio che ha preso i soldi per lasciare l’Ast.

Le cifre che l’azienda ha fatto circolare parlano di sessanta persone che hanno già firmato e un altro centinaio in attesa che si sblocchi la mobilità per fare fagotto e andarsene. Cifre dietro alle quali si nascondono storie. Lontano dai cancelli di viale Brin: Spagna, Svezia o Germania, ma con la città dell’acciaio sempre nel cuore. Una scelta «meditata» e «ragionata», come raccontano al Messaggero cinque giovani ex operai delle acciaierie che hanno dai 26 ai 32 anni. «Sono entrato e uscito dai cancelli due volte prima di salire dal capo del personale e firmare la lettera», racconta uno di loro. Non sono mancate le notti in bianco, così come le discussioni in famiglia, anche accese. «Con papà - racconta un’altra ex tutta blu - mi sono confrontato anche animatamente, mentre mia madre mi ha detto che comunque vada loro ci saranno sempre».

Una scelta difficile. Una scelta difficile, ma «inevitabile a detta loro. «Vedi come si comporta la politica italiana nei confronti della Germania e capisci che per l’Ast non c’è futuro», spiegano. Stanno in fabbrica da pochi anni, al massimo da dieci, e la pensano così: «Se lavori in acciaieria lo fai per lo stipendio, non perché ti piace». E se la busta paga si dovesse alleggerire di qualche centinaio di euro, come prevede il piano della Morselli, a quel punto non vale più la pena fare «un lavoro alienante che ti annulla la mente», per dirla con le parole di uno di loro che aggiunge: «Male che vada uno stipendio di 1.200 euro lo guadagno con un altro lavoro».

Terni nel cuore. Perché quel «Male che vada»? Perché i soldi che incasseranno (80mila euro lorde), più un anno di mobilità, serviranno per cercare di cambiare vita. Certo, in alcuni casi ci sono gli affetti da curare: «La mia fidanzata ha il contratto in scadenza, ma se non sarà rinnovato partiremo per il nord Europa». Ci sono anche le Canarie o la Germania tra le mete da raggiungere per scrollarsi di dosso la puzza di fabbrica, ma l’acciaieria sempre nel cuore. Tanto che hanno manifestato e presidiato le portinerie anche dopo aver gettato via la tuta blu, ma non il caschetto. «Lo abbiamo fatto perché vogliamo bene alla città, al contrario di chi se ne approfitta come il bar che ha aumentato i prezzi da quando è cominciata la mobilitazione». Ma cosa dicono dell’addio i colleghi di reparto che restano? «Chi ha moglie e figli ci ha consigliato di lasciare». Ma gli anziani del gruppo cosa hanno detto? «Ma quali anziani, in fabbrica non ci sono più. Al massimo il capoturno ha 45 anni». Uno di loro cerca di essere più conciso: «Se stai lì dentro lo capisci da quello che senti e vedi che è meglio andarsene». «Anche perché - aggiunge un altro - saremmo stato i primi ad essere stati colpiti dalle lettere di mobilità». Delusi da tutti, dunque, anche dal sindacato. «Ci dicono di restare, perchè forse riusciranno ad ottenere un bonus più alto. C’è chi dice anche 120mila euro. Ma vogliono tutelare i posti di lavoro o cos’altro?».

I saluti su Facebook. Il primo che ha firmato per ottenere il bonus sulle pagine facebook sta già postando delle foto del Grand Canyon. Raggiunto al telefono ribadisce la sua delusione. «A fine mese torno, vi vengo a trovare. E a salutare. Forse andrò a lavorare all’estero». E’ la nuova generazione di migranti. Lo zaino al posto della valigia di cartone, la t-shirt anzichè giacca e cappello. Dentro, forse gli stessi sentimenti: rabbia, preoccupazione, delusione, speranza.

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