Orvieto. Sergio Castellitto al "Mancinelli", dopo 20 anni riporta in scena "Zorro - Un eremita sul marciapiedi"

Orvieto. Sergio Castellitto al "Mancinelli", dopo 20 anni riporta in scena "Zorro - Un eremita sul marciapiedi"
di Monica Riccio
4 Minuti di Lettura
Venerdì 13 Gennaio 2023, 09:22 - Ultimo aggiornamento: 09:23

Volto amatissimo del cinema, della tv e del teatro, Sergio Castellitto, 70 anni, attore, regista e sceneggiatore, è in questi giorni a Orvieto, per presentare, venerdì 13 gennaio, alle 21 in debutto nazionale, al Teatro “Mancinelli”, “Zorro – Un eremita sul marciapiede”. Lo spettacolo, tratto da un romanzo breve di Margaret Mazzantini, per la regia dello stesso Castellitto, è in realtà una riedizione del monologo presentato circa 20 anni fa, dallo stesso attore. Castellitto in "Zorro" veste i panni di un vagabondo, un antieroe che riflette sul significato di una vita che lo ha portato, con le sue scelte, a vivere sulla strada. Ai margini della società, Zorro è capace di vedere la realtà osservando la vita delle persone comuni. 

Sergio Castellitto è di casa a Orvieto, e non solo artisticamente, e ha scelto Orvieto e il “Mancinelli” per il debutto nazionale di “Zorro”.
«Ho fatto qualche replica lo scorso anno, una specie di rodaggio, ma il riallestimento l'ho fatto qui a Orvieto, lo abbiamo voluto fare qui a Orvieto perché  venti anni fa il primo allestimento l'ho fatto proprio qui. Dopo 20 anni mi ha fatto molto piacere, mi ha anche molto emozionato di essere di nuovo al “Mancinelli” che è un teatro magnifico».

Questa nuova versione dello spettacolo come è nata? Il personaggio di Zorro lo ha un po' rivisitato?
«Non è stato necessario aggiornarlo. Ho riletto “Zorro” per caso, durante i mesi del lockdown; stavo sistemando delle cose e mi capitò in mano il suo copione e lo cominciai a leggere. Sia io che Margaret siamo rimasti di nuovo ipnotizzati da quanto quel personaggio e quel racconto fosse così attuale, soprattutto in quei mesi di solitudine e isolamento e di paura, in qualche modo, di perdere tutto. Abbiamo capito quanto fosse ancora giusta, necessaria e emozionante l'idea di rimetterlo in scena. Oggi recitando in questo personaggio mi accorgo di quanto sia contemporaneo a noi questo sentimento di solitudine, questa paura di perdere tutto, ma nello stesso tempo mantenendo intatto il sentimento della dignità individuale». 

Il tempo che manca a tutti di fermarsi a riflettere, a osservare la propria e l'altrui vita. In questo aiuta il teatro?
«Il teatro in fondo serve a questo, perché in quella “bolla” in cui si infila sia l'attore che recita, sia lo spettatore che guarda, si ha la sensazione di un momento che diventa solo tuo.

Hai la possibilità di riflettere. Il punto di vista di Zorro, di questo clochard, di questo homeless, è un punto di vista privilegiato rispetto a quello che noi crediamo di avere ritenendoci liberi. Può raccontare la propria vita, e raccontarsi agli altri, con leggerezza. Questo non esclude il fatto che chi vive per strada provi disagio, dolore, solitudine».

Cinema, teatro, televisione. In quale di questi ambiti sente di essere maggiormente a suo agio?
«Io sto bene quando faccio le cose che mi piacciono, le cose belle, quelle che considero belle, divertenti, necessarie, per me e per chi viene a vederle. Fa piacere tornare a fare teatro perché è una palestra sentimentale per me, l'attore in teatro ritrova anche il sentimento, l'energia di una fatica fisica, di un rapporto fisico con la platea, un qualcosa di abbastanza irripetibile».

Zorro è un monologo, sul palcoscenico c'è solo lei, la sua figura.
«Un uomo solo su un palcoscenico, sostanzialmente vuoto, che parla per 80 minuti e racconta la storia, la condizione più semplice ma anche più bella del teatro, un essere umano sul palcoscenico che racconta una storia a altri esseri umani seduti in platea che lo ascoltano. Ognuno si costruisce il suo immaginario. E magari scopre che un po' di quel Zorro lo riguarda».

Quali sono i suoi progetti futuri? In questo momento è in tv con “Il nostro generale” in cui interpreta magistralmente la figura del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, un successo già fin dalle prime puntate.
«Siamo molto contenti, è anche un bellissimo segno che una serie complessa che racconta anni così complicati e così difficili che questo Paese ha vissuto, abbia avuto un riscontro di pubblico così buono. E' una soddisfazione per tutti. Adesso me ne vado in giro per l'Italia un paio di mesi con il mio spettacolo, sono contento così».

© RIPRODUZIONE RISERVATA