«Indago come Sherlock Holmes, ecco la mia battaglia contro la leucemia»

L'ematologo Enrico Tiacci
di Enzo Vitale
4 Minuti di Lettura
Mercoledì 9 Maggio 2018, 09:00 - Ultimo aggiornamento: 10 Maggio, 13:29
Grazie a un farmaco “intelligente”, il Vemurafenib, insieme al suo team è riuscito a  combattere una forma di leucemia (quella a cellule capellute dovuta alla mutazione del gene Braf, ndr), ottenendo la rapida remissione della malattia in quasi tutti i pazienti sottoposti alla cura.
E così la squadra di Enrico Tiacci, 46 anni, ematologo in forza all’Istituto di Ematologia dell’ospedale Santa Maria della Misericordia, dretto dal professori Brunangelo Falini, è stata antesignana («primi al mondo», come tiene a sottolineare lo stesso Tiacci) nel somministrare il farmaco a pazienti che non rispondevano più alla chemioterapia tradizionale.
«Oltretutto -precisa Tiacci-, senza gli effetti tossici della chemio che uccide indiscriminatamente tutte le cellule proliferanti, comprese quelle normali. Il Vemurafenib, al contrario, colpisce solo le cellule leucemiche».
Ma come per tutte le ciambelle che non riescono con il buco, anche il nuovo farmaco non riesce a eradicare del tutto la leucemia e, una volta sospeso il trattamento, la malattia si riespande dopo un certo periodo di tempo. Ma la giovane squadra di Tiacci non si è arresa e la ricerca è approdata ad un ulteriore successo: «Ora stiamo sperimentando nei pazienti un trattamento di combinazione, sempre non chemioterapico, aggiungendo al Vemurafenib (che uccide le cellule leucemiche penetrandovi dentro) il Rituximab, un anticorpo che invece elimina le cellule leucemiche aderendovi da fuori e richiamando contro di esse le armi del sistema immunitario. Con questi due farmaci insieme stiamo ottenendo risultati impressionanti: quasi tutti i pazienti raggiungono remissioni di malattia, e in circa la metà dei casi addirittura non riusciamo più a evidenziare alcuna traccia di leucemia».

LE APPLICAZIONI
Per il professor Tiacci la combinazione dei farmaci ha applicazione anche su altri tipi di neoplasie: «La  mutazione di Braf -spiega-, è presente in vari altri tumori (anche se a frequenze ben più basse che nella leucemia a cellule capellute), per esempio nel melanoma, nel cancro della tiroide e nel cancro del polmone. E il Vemurafenib, che in realtà era stato sviluppato originariamente per il melanoma Braf mutato, ha una certa efficacia pure in queste altre neoplasie, seppure minore rispetto alla leucemia a cellule capellute».

CURE ALTERNATIVE? NO GRAZIE
Sulle cure alternative, il pensiero di Enrico Tiacci è deciso: «Sono categoricamente da proscrivere, soprattutto (ma non certo esclusivamente) in campo oncologico. Non sono efficaci e non fanno altro che alimentare false speranze nei pazienti e nelle loro famiglie a caro prezzo, anche economico».

IL TEAM DI RICERCATORI
Il gruppo di ricerca è molto affiatato. Giovani appassionati e tenaci: «Senza di loro in laboratorio -puntualizza Tiacci- niente sarebbe possibile». E sono: Barbara Bigerna, Veronica Codoni, Beatrice Facchini, Roberta Pacini, Valentina Pettirossi, Alessandra Pucciarini, Simonetta Piattoni, Alessia Santi, Gianluca Schiavoni, Alessia Tabarrini e Alessandra Venanzi. Molti di essi sono pagati attraverso i fondi di ricerca provenienti da varie istituzioni tra cui lo European Research Council, l’Associazione Italiana Ricerca sul Cancro e la Leukemia & Lymphoma Society americana, fondi ottenuti dallo stesso ricercatore.

(La giovane squadra di ricercatori dell'ematologo Enrico Tiacci)

I SETTORI DI STUDIO
A Perugia si studiano anche le cause genetiche del linfoma di Hodgkin, il tumore più frequente negli adolescenti e nei giovani adulti. «Nell’80-90% dei casi -ammette Tiacci- si cura bene con la chemioterapia e la radioterapia, che però possono causare tumori secondari o danni ad organi importanti (per esempio il cuore) dopo molti anni, in persone guarite. Bisogna sviluppare nuovi approcci terapeutici meno tossici, ed efficaci anche nel 10-20% dei pazienti non responsivi a chemio e radioterapia. E per farlo -continua- occorre prima di tutto capire a fondo i meccanismi messi in gioco dalle cellule linfomatose che proliferano incontrollatamente». L’Ematologia di Perugia è in prima linea anche in altri importanti campi di ricerca, per esempio nel trapianto di midollo osseo e nella leucemia acuta mieloide, che è uno dei pochissimi tumori del sangue a non registrare praticamente nessun progresso da vari decenni e sulla quale si stanno concentrando con successo i gruppi di ricerca del professor Brunangelo Falini e della professoressa Maria Paola Martelli.

LA CURIOSITÀ
Come un novello Sherlock Holmes, Enrico Tiacci ha iniziato le sue “indagini” alla ricerca delle cause della malattia come un vero e proprio investigatore. Dopo aver analizzato circa 30 mila geni umani delle cellule tumorali di un paziente con leucemia a cellule capellute, è riuscito a scovare il colpevole: il gene Braf.
«Non potrò mai dimenticare l’emozione di vedere che proprio quel gene mostrava la stessa mutazione di tutti gli altri pazienti. È stata un’emozione che di rado capita, a dire il vero quasi mai, nella vita di un ricercatore. Avevamo scoperto -conclude lo scienziato- la causa fondante di una malattia e aperto la strada a curarla meglio».
E allora cari ricercatori, continuate così: siete voi la nostra squadra del cuore!


enzo.vitale@ilmessaggero.it
su Twitter @enzotvitale

 
© RIPRODUZIONE RISERVATA