Il Volo a Sanremo: «Snobismo nei nostri confronti, ma anche noi facciamo le bravate. Ora dimenticatevi i bravi ragazzi»

Il look più rock, un album di inediti, la voglia di cambiare un po’ l’immagine. Parla Il Volo, a Sanremo con “Capolavoro”: «Canteremo una ballata pop»

Il Volo a Sanremo: «Snobismo nei nostri confronti, ma anche noi facciamo le bravate. Ora dimenticatevi i bravi ragazzi»
di Mattia Marzi
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Lunedì 29 Gennaio 2024, 00:12 - Ultimo aggiornamento: 09:15

Ai completi “ingessati” ora preferiscono le canottiere e le giacche di pelle: per il «restyling» hanno chiamato lo stesso stilista dei Maneskin, di Achille Lauro e di Paola e Chiara, Nick Cerioni. L’obiettivo? Rinfrescare un po’ quell’immagine da versione pop adolescenziale dello storico tris Plàcido Domingo, José Carreras e Luciano Pavarotti che aveva caratterizzato il trio fino a oggi. Un’evoluzione che va di pari passo con la svolta musicale rappresentata da Capolavoro, il brano che dal 6 al 10 febbraio presenteranno in gara al Festival di Sanremo, a distanza di quindici anni dall’esordio a Ti lascio una canzone (il baby talent show che nel 2009 li lanciò, condotto da Antonella Clerici), di nove dalla vittoria alla kermesse con Grande amore e di cinque dal terzo posto con Musica che resta. Piero Barone (30 anni), Ignazio Boschetto (29) e Gianluca Ginoble (28), in arte Il Volo, hanno una missione: «All’Ariston vogliamo mostrare che non siamo solo “tre tenori”, ma cantanti dotati ciascuno di una personalità ben definita». 

Che succede in casa Il Volo?

«Niente di che, chiariamolo subito.

Semplicemente, fino ad oggi avevamo un’identità unica: tutti e tre cantavamo più o meno allo stesso modo. Quando abbiamo cominciato a cantare insieme eravamo bambini e siamo sempre andati avanti così. Ora, però, andiamo per i trent’anni. E abbiamo vocalità diverse tra loro. Le valorizziamo di più».

Non si faceva prima a sciogliere il gruppo? 

«E perché? Non lo abbiamo mai pensato. Siamo un esempio. In un’epoca in cui domina l’individualismo, noi celebriamo la forza dell’essere squadra». 

Quindi all’atto pratico cosa farete? Vi dividerete i pezzi da cantare? 

«No, il contrario. La sfida è stata quella di mantenere il gruppo coeso, cercando al tempo stesso di far venire fuori le tre vocalità. Quando il pubblico ascolterà Capolavoro capirà che rappresenta un ponte tra il nostro passato e il nostro futuro. È una ballata pop da dedicare a qualcuno che si ama e che può piacere tanto alle ragazzine quanto alle mamme. Dimostriamo che oltre i “tre tenorini” (Ignazio e Piero sono effettivamente tenori, mentre Gianluca è un baritono, ndr) c’è dell’altro. Non a caso abbiamo voluto incidere un album di canzoni inedite, il primo in quindici anni di carriera. Uscirà in primavera».

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Con chi avete lavorato?

«Capolavoro l’ha arrangiata Federico Nardelli, già al fianco di Gazzelle e Colapesce Dimartino. Oggi più canti e più sei vecchio, meno canti e più sei moderno. Il nostro obiettivo è quello di rendere contemporaneo il cantato».

“C’è molto snobismo nei nostri confronti, le radio non passano i nostri pezzi nemmeno con la pistola alla tempia”, avete detto. Il motivo?

«Non lo abbiamo detto noi. Spesso nei titoli delle interviste si forza un po’ la mano. Noi siamo sereni. Se fai un disco tributo a Morricone (“Il Volo Sings Morricone”, uscito nel 2021, ndr), come puoi pensare di ambire all’alta rotazione?». 

Quindi non c’è mai stato snobismo da parte degli addetti ai lavori nei confronti de Il Volo?

«Dello snobismo c’è stato, non lo neghiamo. Ma ci siamo lasciati tutto alle spalle. Siamo dell’idea che quando si guida, si debba guardare la strada davanti e non lo specchietto retrovisore». 

Che rapporto avete con le critiche? 

«Buono. Non si può piacere a tutti. Pazienza». 

Un pezzo dance lo fareste? 

«Stile Bob Sinclar? No, scimmiotteremmo qualcosa che non siamo». 

Un reggaeton? 

«Chieda a Maluma (superstar della musica latina, ndr) di cantare un pezzo del Volo».

“Siamo i figli che tutti vorrebbero avere”, avete detto. Chi ha un successo precoce, spesso finisce fuori strada. Voi? 

«Anche questo non l’abbiamo detto noi: ogni tanto i giornalisti ci vogliono dare l’immagine di bravi ragazzi». 

E invece? 

«Se viene in tour con noi torna pallido a casa (ridono)». 

Addirittura? 

«È per dire che le nostre bravate le abbiamo fatte e le facciamo, ma siamo responsabili. Lo dobbiamo alle 50 persone che lavorano con noi in tour. Chi cede, è perché ha vuoti emotivi che deve in qualche modo colmare. Noi siamo risolti». 

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