Prandelli, lo stress e l'addio al calcio: ecco i motivi

Prandelli, lo stress e l'addio al calcio: ecco i motivi
di Alessandro Angeloni
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Mercoledì 24 Marzo 2021, 07:30 - Ultimo aggiornamento: 18 Febbraio, 13:47

 Dopo la partita con il Benevento, il grido di allarme: «Sono stanco». Dopo il Milan, il malessere fisico. La mancanza di fiato, l’esigenza, l’obbligo di saltare la consueta conferenza stampa e scappare a casa. Stop. Fine dell’avventura. Cesare Prandelli non ne può più, molla. E’ depresso, stressato. Purtroppo non è l’unico, ma l’ultimo: Sacchi soffriva le pressioni e lasciò il Parma, ultimamente il caso Ilicic, distrutto dalla situazione Covid. Quando la testa dice basta, non risponde più, si scappa, si pensa a se stessi. Con coraggio. Cesare non dice stop alla Fiorentina, ma al calcio, al campo. Sta male. Colpito da un esaurimento. C’è la vita ora.

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Prandelli si dimette per se stesso, dopo che anni fa, nel 2004, aveva lasciato la Roma dopo nemmeno due mesi - per stare vicino alla moglie Manuela (e lo spogliatoio di quella Roma non gli consentiva certo la doppia fatica...), che poi sarebbe morta tre anni dopo. Cesare ha chiamato i dirigenti della Viola, il presidente. Anche Ribery ha provato a convincerlo, nulla da fare. Chi lo ha sentito dopo la decisione, ha avvertito da parte sua un senso di sollievo, come se si fosse tolto un peso. Prandelli non è un uomo qualunque, nel calcio ha recitato un ruolo centrale, anche con qualche errore, vedi la troppa fiducia a oltranza a Balotelli (che lo ha “tradito” al Mondiale del Brasile nel 2014) , vedi il fallimentare “codice etico” azzurro, rispettato solo a singhiozzo: ha giocato e vinto con la Juve, ha creato il miracolo Parma, molto bene con la Fiorentina di Toni e Mutu e come ct della Nazionale in un percorso doppio, ottimo all’Europeo in Polonia e Ucraina, male al Mondiale in Brasile. Dimissisoni, anche li. Ma senza questo stress angosciante.
LO SFOGO
Da quel giorno, non è stato più lui come allenatore: molti i fallimenti, anche nel Viola bis, a Firenze, nella sua città. «Sono consapevole che la mia carriera di allenatore possa finire qui, ma non ho rimpianti», è scritto in un passo della lettera con cui ieri ha lasciato la Fiorentina.

Cesare adesso deve curarsi, ritrovare il sorriso e magari un giorno tornare, con altre vesti. Ora questo calcio non gli piace più, il Covid ha influenzato la vita di tutti, specie delle persone più sensibili. E chi conosce bene Prandelli, giura che faccia parte di questa categoria. «Nella vita di ciascuno, oltre che alle cose belle, si accumulano scorie, veleni che talvolta ti presentano il conto. In questo momento della mia vita mi trovo in un assurdo disagio che non mi permette di essere ciò che sono. Ho intrapreso questa nuova esperienza con gioia e amore, trascinato anche dall’entusiasmo della nuova proprietà. Ed è probabilmente il troppo amore per la città, per il ricordo dei bei momenti di sport che ci ho vissuto che sono stato cieco davanti ai primi segnali che qualcosa non andava, qualcosa non era al suo posto dentro di me». Prandelli di storie negative di calcio ne ha vissute, ma è sempre ripartito: da Valencia al Genoa, per non parlare della disastrosa esperienza post Mondiale al Galatasaray e poi all’ Al-Nasr. Scorie accumulate, appunto. «Mai vorrei che il mio disagio fosse percepito e condizionasse le prestazioni della squadra. In questi mesi è cresciuta dentro di me un’ombra che ha cambiato anche il mio modo di vedere le cose. Sono venuto qui per dare il 100%, ma appena ho avuto la sensazione che questo non fosse più possibile, per il bene di tutti ho deciso questo mio passo indietro. Questo mondo di cui ho fatto parte per tutta la mia vita, non fa più per me e non mi ci riconosco più. Sicuramente sarò cambiato io e il mondo va più veloce di quanto pensassi. Per questo credo che adesso sia arrivato il momento di non farmi più trascinare da questa velocità e di fermarmi per ritrovare chi veramente sono».

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