Lazio, 20 anni dallo scudetto 2000. Eriksson: "Eravamo i più forti del mondo. E Inzaghi può vincere il titolo"

Lazio, 20 anni dallo scudetto 2000. Eriksson: "Eravamo i più forti del mondo. E Inzaghi può vincere il titolo"
di Alvaro Moretti
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Giovedì 14 Maggio 2020, 08:11 - Ultimo aggiornamento: 13:41

“In quei giorni, in quei mesi eravamo i più forti del mondo. Non lo dico solo io, lo dicevamo anche all'estero”. I giorni sono giorni come questo 14 maggio, il giorno in cui ogni laziale alle 18.04 si punta la sveglia e ricorda. 20 anni fa Sven Goran Eriksson, che ci parla dal suo ritiro personale anti-Covid nel Nord della Svezia (“a due ore da Oslo”), era nello spogliatoio laziale dell'Olimpico. Lazio-Reggina era finita 3-0 e da un'ora la Lazio era in attesa di diventare campione d'Italia. A Perugia, Collina aveva fermato la partita della Juventus: campo allagato per l'unica nuvola presente nel centro Italia quella domenica di 20 anni fa. Un gol di Calori aveva mandato in vantaggio gli umbri e all'inferno la Juventus.

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“Noi per oltre 70 minuti, però – ci dice Svennis – non ci sentivamo campioni d'Italia: a noi bastava anche solo il pareggio che significava giocarcela con la Juve in uno storico spareggio la settimana dopo. I giocatori erano statue di sale nello spogliatoio, qualcuno aveva interrotto la doccia al gol di Calori. Scaramantici tutti, tutti fermi. Io no, io camminavo dal mio ufficio-spogliatoio a quello dei ragazzi, all'imboccatura della tribuna d'onore. Vedevo la gente che rientrava allo stadio, che affollava il prato. E sentivamo tutti la radiolina: niente tv, portava male secondo qualcuno”.

Il flashback si blocca. Eriksson è sempre stato un uomo del presente, certe volte anche del futuro. “Io penso che la squadra più forte, quest'anno, è la Lazio. Che senza lo stop lo scudetto poteva tornare, può tornare se si riparte. Giocava troppo meglio di Inter e Juventus, con tutto il rispetto”

Allena quella squadra uno dei ragazzi del 14 maggio 2000. Uno di quelli dell'annuncio del radiocronista Riccardo Cucchi: “Sono le 18.04 e la Lazio è campione d'Italia”.

“Vede – ci dice il rettore di Torsby -quella squadra era fortissima per una serie di ragioni ma la principale, secondo me, è che aveva all'interno una serie di calciatori che erano tutti potenziali grandi allenatori o dirigenti. Mancini, Simeone, Mihajlovic, Nesta, Veron che ora è addirittura presidente, Almeyda e Nedved, vice presidente della Juve. Ebbene quelli che mi hanno sorpreso per come erano da calciatori, per la loro visione del calcio di allora, sono proprio Simone Inzaghi e Conceicao: ragazzi splendidi, educati, ottimi calciatori ma vederli vincere in Italia e Portogallo mi ha sorpreso e fatto felice. Ecco con gente così in campo che si potesse immaginare una rimonta come quella del 2000 non era impossibile. E infatti...”


A 8 giornate dal termine la Lazio era a -9 dalla Juve di Zidane. Una rimonta incredibile firmata dai goll diSimeone. “Lo tenevo in panchina a volte, ma la rotazione con quella squadra era ovvia e accettata. Ma lui in panchina vedeva la partita come un allenatore: entrava e decideva. Non un caso”

Ha girato il mondo, di recente tre anni in Cina. “Il maledetto virus mi ha fermato: mi manca l'Australia... Le dico questo: da quindici anni il calcio è lo sport che in Cina viene praticato nelle scuole, è fatale diventeranno numeri uno anche nel calcio. Questione di tempo”.

Torna a Roma. “Mi stanno chiamando in continuazione, ma non solo da Roma. I 20 anni di quello scudetto diverso da tutti gli altri in tutto il mondo tornano in mente a tutti. E' stato come un film: quell'attesa pazzesca, dopo una settimana di tensioni per il gol annullato a Cannavaro”.

Poi la pioggia di Perugia. “Senza un arbitro come Collina quella partita sarebbe stata interrotta e forse il destino sarebbe cambiato: si sarebbe ripartiti dallo 0-0 a Perugia... Collina si chiamava Destino, quel giorno”.

Quando parla della Lazio costruita per vincere ha un rimpianto. “La Champions League buttata a Valencia: dovevamo vincere di più, dovevamo vincere lo scudetto un anno prima. Eravamo i più forti del mondo, battemmo il Manchester United nella Supercoppa. E la Lazio era un punto di arrivo per tutti: qui c'era una squadra forte, il tifo, Roma e un presidente come Cragnotti che pagava. Ecco, se mi chiede di identificare quel successo con un volto, le dico la felicità e le lacrime di Cragnotti in quel momento”.

Non è stupito dall'ondata di memoria che travolge la Lazio 2000. “In Italia allora il calcio era pazzesco, lo scudetto valeva una Champions: sette sorelle per il titolo. Ma vincere il tricolore dove hanno dominati per decenni Juve, Milan e Inter è una cosa rarissima”.

Ora c'è la tristezza del virus e del calcio fermo ovunque. “Penso al Liverpool che aspetta il titolo da vent'anni e ha un vantaggio enorme e meriterebbe la vittoria. E penso alla Lazio di Inzaghi: spero si possa ripartire ovunque in sicurezza, perché la Lazio potrebbe farcela anche oggi”.

Alle 18.04 la promessa di Eriksson, l'architetto di una squadra pazzesca: “Brinderò a tutti i laziali. Credo che lo farò in una qualche diretta tv. Se lo ricordano tutti quello scudetto...”

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