Lazio, 20 anni fa lo scudetto arrivato come in un film

Lazio, 20 anni fa lo scudetto arrivato come in un film
di Alvaro Moretti
4 Minuti di Lettura
Giovedì 14 Maggio 2020, 11:09 - Ultimo aggiornamento: 11:33
La durata di un film, più o meno. Un film che andrebbe girato, adesso, vent'anni dopo anche solo riguardando le facce dell'attesa. Lo scudetto della Lazio del 14 maggio del 2000 i tratti dell'unicità ce li ha per la trama che lo consegnò alla storia. Una sceneggiatura originale: l'esito di una sfida che non si risolve come si voleva all'unisono tra le sfidanti, Lazio e Juve.

La dilatazione dell'emozione lunga oltre un'ora non si era mai vista. E mai, nella sua vita di navigatore e furbacchione del calcio, Svennis Eriksson aveva assistito dentro ad uno spogliatoio a quello che vide all'Olimpico dalle 17.15 alle 18.04 di quel giorno: «Erano come statue, i giocatori», racconta dalla sua quarantena prudente del nord della Svezia. Impossibilitati all'azione, legati alla scaramanzia in un'attesa che sarebbe stata premiata anche da un pareggio, a Perugia, con spareggio contro la Juventus una settimana dopo.

Nick Hornby, nel suo Febbre a 90', aveva immaginato un epilogo emozionante e un gol allo scadere per l'agognato scudetto del suo Arsenal. Ma questo nello sport è pathos... classico: un tiro all'ultimo secondo che cambia la storia. Gioia e attese, delusione e sorpresa che si dilatano così tanto non si erano mai viste e mai più si sono viste... Un esito determinato dall'unica nuvola piena di pioggia dell'intero centro Italia! E tante di quelle facce e scaramanzie, gesti e immobilismo in uno spazio unico sono un pianosequenza pazzesco: da Perugia allagata al sole di Roma, dal Curi all'Olimpico, da Mazzone a Eriksson, da Moggi a Cragnotti; dal popolo juventino inzuppato e attonito, a quello laziale di occhi sgranati e urla e una sottile preoccupazione.

Se è vero che proprio la Lazio sta vincendo questo scudetto qui si dicevano muti -, differito di oltre un tempo di 45' e annunciato da Radio Rai con la voce di Riccardo Cucchi, quale prezzo si dovrà pagare poi? Un pedaggio si pagherà l'anno successivo: scudetto alla Roma, erano gli anni d'oro del calcio romano. Ma quello è il sequel e il prezzo si finirà per pagare, come capitò dopo il 1974: gioia e lutti, storia e cronaca, bagliori e oscurità.

TRA ROMA E PERUGIA
Ma torniamo alla scena: chi c'era, all'Olimpico, si ricorda che era fatto divieto cambiare qualsivoglia dettaglio della Scena nei minuti tra la fine di Lazio-Reggina e il secondo tempo di Perugia-Juve. Cambiare di posto, alzarsi per andare al bagno, provare ad accendere una radiolina in più, provare a trasmettere (come si fece) la partita in diretta tv sui maxischermi. Ogni cosa, per i laziali, poteva portare male, poteva cambiare lo status quo ante.

Anzi, era certo che portasse sfiga. Lo aveva creato, lo status quo, un gol nel fango di Calori, stopper toscano consegnato alla storia da quel gesto. Perugia in vantaggio (incredibilmente) e Lazio prima in classifica dopo una rimonta da -9 in 8 giornate. Incredibile, perché a Lazio-Reggina, saluto mesto, i laziali erano arrivati dopo i moti di piazza seguiti all'annullamento del gol di Cannavaro in Juve-Parma; dopo gli incidenti sotto la Federcalcio; dopo il funerale al calcio inscenato al mattino per le strade di Roma. Insomma, non era aria di andare in Paradiso. Non lo sembrava proprio. Non era bastata (così sembrava) l'armata potente costruita da Cragnotti ed Eriksson, con campioni internazionali come Nesta e Nedved, Veron e Simeone, Mihajlovic e Mancini. Ci si stava per rassegnare a perdere il secondo titolo consecutivo nell'epilogo amaro di un'ultima giornata di campionato.

E invece no, nella Capitale del cinema, ecco l'evento più cinematografico possibile: sono passati 20 anni, ma ancora oggi non solo i tifosi della Lazio, non solo in Italia si ricorda quel titolo in differita. La gente che rientra nello stadio e si riversa sul prato (ne tratterrà le storiche zolle) man mano che la speranza prendeva il posto della fede (per chi ce l'aveva). Proprio il cosmopolita Eriksson ci ricordava che da tutto il mondo lo stanno chiamando in queste ore per ricordare quel finale. Un finale che aveva bisogno di un elemento catalizzatore a sorpresa: l'arbitro Collina. Solo un arbitro come lui, con il suo peso specifico (anche politico) poteva decidere di andare avanti senza badare a Moggi e Giraudo; rinviare la gara avrebbe significato amplificare le tensioni della vigilia, dilatare anche quelle.

Meglio allora dilatare il tempo eterno dell'attesa di laziali e juventini all'Olimpico e al Curi. Vent'anni fa quell'onda anomala travolse tutto e tutti, a partire dal Destino per come lo potevamo incatenare nei pronostici. Tanto anomala, l'onda da rendere impossibile anche festeggiarlo dopo l'impresa, quello scudetto: tutti al Circo Massimo. Ma proprio tutti, tanti e tanto disordinati da rendere impossibile la discesa dal pullman dei giocatori per un sabba comune che sembrò pericoloso. Oggi i pericoli sono altri, il calcio e la sua gente sono fermi. L'attesa non asciuga la saliva, la macchia d'amaro. Anche oggi c'è una Lazio incredibilmente vicina al tricolore. La guida Simone Inzaghi che segnò quel 14 maggio 2000 e fu eroe di balli e di canti. Ci sarebbe anche voglia di un film di quelli che il calcio regala a maggio. Ma anche questo finale è difficile da immaginare, figuriamoci scriverlo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA