Il sogno americano di Fontecchio: «NBA? Non sarò uno di passaggio»

L'ala azzurra pronta al debutto con gli Utah Jazz che lo hanno ingaggiato alla fine del mercato «Non si pentiranno della scelta»

Il sogno americano di Fontecchio: «NBA? Non sarò uno di passaggio»
di Sergio Arcobelli
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Lunedì 17 Ottobre 2022, 12:59 - Ultimo aggiornamento: 13:18

Il sogno americano del ragazzo di Abruzzo. Tutto è iniziato in quel campetto della casa dei suoi nonni a Francavilla al Mare, il paesino in provincia di Chieti in cui Simone Fontecchio trascorreva i suoi pomeriggi. È stato un viaggio intenso quello che ha portato la 26enne ala della Nazionale fino ai parquet della NBA, dove Simone vuole dimostrare di poter stare. Il suo debutto con la maglia degli Utah Jazz, la franchigia che ha sede a Salt Lake City con il quale ha firmato un biennale da 6,5 milioni di dollari, avverrà nella notte tra mercoledì e giovedì contro i Denver Nuggets di Nikola Jokic, il gigante serbo già sconfitto da Simone con l'Italia a Eurobasket 2022, dove il nativo di Pescara è emerso come uno dei migliori giocatori del torneo. Finora, nelle amichevoli pre-stagionali disputate, coach Will Hardy ha concesso solo degli sprazzi di partita alla star azzurra, ma Fontecchio avrà presto le sue chance di mettere in mostra tutto il suo talento.

Simone, è pronto per quest'avventura?
«Sono super emozionato, super eccitato di questa avventura. Non vedo l'ora. L'offerta finale di Utah è arrivata l'ultimo giorno.

Già in precedenza c'erano state delle trattative, ma l'offerta in sé è arrivata solo l'ultimo giorno, il 15 luglio».

Prima di partire per gli Stati Uniti, ha fatto un salto al campetto del nonno con sua figlia Bianca di 3 anni che andava a canestro in un bello scatto su Instagram.
«Sì, perché ritengo che non importa quanto lontano si vada, l'importante è ricordarsi da dove si è partiti. Quel posto per me ha un significato speciale ed essere lì con mia figlia lo eleva all'infinito».

Proprio suo nonno, Vittorio Pomilio, le ha trasmesso la passione per il basket.
«Esatto. È stato azzurro di pallacanestro ma dovette rinunciare ai Giochi di Roma 1960 perché lavorava come ingegnere».

Una passione, quella del basket, tramandata poi dal nonno a mamma Malì e infine a lei. Tre generazioni con la maglia dell'Italia.
«Sì, mia madre ha giocato 119 partite in Nazionale e vinto due scudetti con Vicenza. Poi c'è anche mio fratello Luca, di quattro anni più grande, che gioca in B. Saranno orgogliosi di me».

Nelle sue vene scorre pure il sangue di un campione di atletica.
«Mio papà Daniele Fontecchio è arrivato alle semifinali nei 110 ostacoli all'Olimpiade 1984. Ha conquistato 10 titoli agli assoluti tra 60hs e 110hs, oltre all'argento agli Europei indoor del 1986 a Madrid. È stato il primo italiano a correre sotto i 14''».

Figlio e nipote d'arte, eppure lei ha trovato solo all'estero la sua comfort zone, per la precisione all'Alba Berlino e poi nel Baskonia Vitoria, dove ha accumulato esperienza anche di Eurolega. Come mai?
«Andare a giocare fuori, uscire dalla comfort zone ti aiuta ad assumere un livello di responsabilità nei tuoi confronti e in quelli della squadra per cui giochi cosa che, probabilmente, per la squadra di casa non raggiungi. Ma ci sono italiani che in A stanno facendo bene, come Stefano Tonut. Non c'è una ricetta perfetta».

Prima di approdare in Germania, a Milano non era andata benissimo. Ha fatto ricredere persino Ettore Messina: Gli dissi che all'Olimpia avrebbe potuto giocare al massimo 5-10 minuti, invece avrei dovuto concedergli più spazio.
«Ero molto giovane, avevo bisogno di maturare, e decisi di farlo altrove. Visto il mio percorso, alla fine la scelta è stata giusta».

C'è stato un clic che le ha fatto scattare qualcosa?
«La verità è che non c'è stato nessun clic. È una condizione di responsabilità e di fiducia in te stesso che va man mano crescendo per diversi motivi e che portano a una crescita di un giocatore, di una persona. Difficilmente uno si rende conto dall'oggi al domani: Ok, adesso so fare questo, prima non lo sapevo fare. È un insieme di cose».

Chi sono i suoi idoli cestistici?
«LeBron James e Kobe Bryant».

Molti la definiscono un giocatore versatile. Crede sia un bene per l'Nba?
«In realtà, penso sia una lega di specialisti. Molto spesso è meglio saper fare una cosa bene, piuttosto che saper fare cento cose così così. Io cercherò di fare del mio meglio facendo vedere agli altri quello che so fare».

Si è adattato al nuovo mondo?
«Il passaggio Europa-Usa è difficile ma mi ci sto abituando. Sto imparando a conoscere i ragazzi e loro mi stanno conoscendo, queste settimane sono state buone».

Cosa si augura da questa prima stagione in Nba?
«Spero di restare qui il più a lungo possibile, per dimostrare che posso essere un giocatore Nba. Non sono di passaggio nella lega, voglio restarci per tanto tempo».
 

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