Basket, Sergio Scariolo: «Giovani e bel gioco, così vinco in Spagna»

Il coach che ha appena condotto la Nazionale iberica al quarto titolo europeo: «Il più bello, perché la squadra era tutta nuova»

Scariolo: «Giovani e bel gioco, così vinco in Spagna»
di Stefano Boldrini
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Giovedì 22 Settembre 2022, 07:28 - Ultimo aggiornamento: 11:05

Su Tik Tok, in Spagna, si discute: la statua per Sergio Scariolo in formato naturale o gigantesca? Qualcuno consiglia: hombre, d'oro massiccio. Il quarto titolo europeo conquistato dalla Roja domenica, nella finale contro la Francia, sotto la guida dell'allenatore italiano, ottava medaglia in totale di un ciclo formidabile, con il picco del trionfo al mondiale 2019, ha aggiunto nuova gloria al coach bresciano. Squadra nuova di zecca, tre giocatori nati dopo il 1° gennaio 2000, primo torneo senza almeno uno dei fratelli Gasol dal 2005, nazionale definita da Marca «la più inesperta» della storia, i pronostici contrari che escludevano La Familia altro soprannome di questa selezione tra le prime otto. Tutto spazzato via dal trionfo contro la Francia, demolita 88-76.

Scariolo è rientrato in Italia ed è pronto ad affrontare la nuova stagione alla guida della Virtus Bologna: domani sarà al lavoro. Il 5 ottobre uscirà in Spagna il suo libro, titolo: Il mio amore per il basket, con la prefazione di Pau Gasol. Colpisce una frase nel prologo di Scariolo: «Adoro questo gioco. Mi piacciono tutti gli aspetti del basket. Ma c'è un aspetto negativo, il più angosciante del mestiere di coach: la solitudine. Nel momento in cui prendi una decisione, sei solo: assistenti, giocatori, dirigenti e tifosi, anche gli amici, sono diluiti. Tutto è lontano. Sei solo, con la testa, con il cuore, il tuo coraggio, la tua competenza e, perché no, la fortuna o la sfortuna che ti aspettano. Quando si perde, ci si sente davvero soli».

In Spagna vogliono davvero dedicarle una statua.

«Sono cose che fanno piacere, ma sappiamo come funziona il mondo: tutto dipende dai risultati.

Chi è capace di valutare realmente il lavoro di un coach? Quali strumenti possiede per giudicarlo? Qui entriamo in un'altra sfera ed è quella dei social, dai quali sono lontano, ma dei quali conosco la portata. Oggi sulle varie piattaforme si aprono dibattiti su milioni di argomenti e sul basket può fare tendenza il bloggista di un paese come quello dal quale provengo, Travagliato, che non ha mai visto una partita di pallacanestro dal vivo, ma può vantare un seguito importante».

Otto medaglie alla guida della Spagna, con un titolo mondiale e quattro europei, sono argomenti sui quali c'è poco da discutere.
«Ogni sfida ha la sua storia. L'ultima era stimolante perché la squadra era totalmente rinnovata. Nulla è però frutto del caso: stiamo raccogliendo i frutti della semina iniziata nel 2009, con la ristrutturazione delle nazionali che partì dal basso. Un processo sotto certi aspetti doloroso, perché il rinnovamento portò all'esclusione di competenze consolidate. Gli Under 12 di allora erano la classe 1997».

La Spagna oggi è una potenza dello sport, a cominciare da basket e calcio. Arrigo Sacchi ha elogiato il modello spagnolo parlando di umiltà.
«Credo che i punti cardine della pallacanestro spagnola siano i profondi investimenti nei settori giovanili, la diffusione di base dello sport nelle scuole, la capacità di lavorare su un unico modello dagli Under 12 fino alle squadre maggiori. E c'è un profondo rispetto nei confronti dei coach, non solo a livello top, ma anche nelle realtà minori».

Sempre Sacchi ha sottolineato il culto della bellezza parlando del calcio spagnolo: vale anche per il basket?
«Penso proprio di sì. In Spagna si è consapevoli del fattore rischio quando si crea un progetto, ma in nome dell'idea e del risultato finale, il pericolo si affronta. C'è una mentalità di fondo propositiva: per crescere e ottenere risultati, bisogna giocare bene. E' la strada maestra».

In Spagna c'è anche una mentalità diversa con i giovani: vengono buttati nella mischia persino a 17 anni, almeno nel calcio.
«Anche qui si fa una valutazione ben precisa: puntare sui giovani significa contare sulla freschezza atletica e sull'entusiasmo. La controindicazione è la mancanza di esperienza, ma è un altro rischio che viene sopportato».

I suoi rapporti con il mondo del calcio?
«Ottimi. Ho diversi amici nell'ambiente. Sono interista dall'età di cinque anni, quindi abituato a soffrire. L'ultima partita che ho seguito allo stadio è stata Bologna-Inter, quella che ci è costata probabilmente lo scudetto pochi mesi fa».

In Spagna non è difficile incrociare un campo di basket all'aperto. In Italia c'è il deserto.
«E' così purtroppo. Mio figlio quando giocava a basket a Milano era costretto ad allenarsi in un campo che aveva le colonne al centro. Noti bene, parliamo di Milano. L'assenza di strutture limita il reclutamento spontaneo. Il basket non lo trovi: devi andare a cercarlo».

Domanda scontata: ma perché la nazionale italiana non viene affidata a Sergio Scariolo, una nostra eccellenza che ha fatto la fortuna della Spagna?
«Il primo incarico in Spagna risale al 1997, con la Saski Baskonia. Poi Real Madrid, Malaga e nel 2009 la nazionale, lasciata nel 2012 e ritrovata nel 2015. La vita mi ha portato in un paese in cui mi sono sempre trovato benissimo. In Italia non credo sinceramente che esista un problema allenatori. La federazione è guidata da un dirigente esperto come il presidente Gianni Petrucci. La nazionale ha avuto ottimi coach. Ora, dopo Sacchetti, c'è Pozzecco che ha lavorato bene all'europeo e ha portato un nuovo entusiasmo. Io penso che questo europeo abbia detto che l'Italia è sulla buona strada. Ha perso l'accesso in semifinale per due tiri liberi. Fa parte del gioco e sarebbe un errore rimettere tutto in discussione. La cosa più sensata è andare avanti con questo progetto, nella consapevolezza che, con Banchero, avremo un fuoriclasse a disposizione».

Paolo Napoleon James Banchero, figlio di un'ex cestista e di un italo-americano, ci racconta Wikipedia: è davvero un fenomeno?
«Sì. Possiede qualità straordinarie. E' il giocatore che può portare l'Italia nella zona medaglie nei prossimi anni».

Che cosa manca alla serie A italiana di basket rispetto a una realtà come quella spagnola?
«Il nostro campionato è migliorato negli ultimi anni, ma è ancora diviso per fasce. Ci sono differenze marcate in serie A. E poi pesa l'assenza di grandi città: Roma, Torino, Genova. In Spagna è impensabile una serie A senza Madrid, Barcellona, Malaga, Valencia, Bilbao».

Coach della Virtus Bologna, selezionatore della nazionale spagnola: quando passa da un paese all'altro deve resettarsi?
«E' così. Quando vivi in una doppia dimensione, è inevitabile. In qualche modo, sono fortunato: a parte le innegabili differenze nella pallacanestro e nello sport in generale, Italia e Spagna hanno molti punti in comune».

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