Coronavirus, Crisanti: «Follia lasciare tutto aperto, così raddoppiano i casi»

Coronavirus, Crisanti: «Follia lasciare tutto aperto, così si raddoppiano i casi»
di Mauro Evangelisti
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Sabato 15 Agosto 2020, 00:38 - Ultimo aggiornamento: 16 Agosto, 11:29

«Non sono ottimista, mi pare evidente che nel giro di 10-20 giorni arriveremo ad almeno mille casi positivi giornalieri. Quello che non si riesce a spiegare è che più i nuovi positivi aumentano, più crescono le possibilità di avere pazienti in terapia intensiva. E di vedere un incremento dei decessi, purtroppo».

Il professor Andrea Crisanti, docente di Microbiologia dell’Università di Padova e protagonista, prima del raffreddamento del rapporto con il governatore Zaia, del modello Veneto, da mesi si batte contro coloro che stanno facendo passare il messaggio che è tutto finito, che il virus non esiste più.
«Hanno causato dei danni enormi. Purtroppo, già oggi vediamo, giorno per giorno, aumentare i pazienti in terapia intensiva in Italia. Sono ancora numeri sostenibili, ma dobbiamo guardare in prospettiva a ciò che succederà con questo costante incremento dei casi».

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Perché secondo lei presto andremo a raddoppiare l’ultimo dato di 574 positivi in 24 ore?
«Purtroppo la dinamica dell’epidemia è ormai chiara, il ritmo di crescita è costante, mi pare improbabile che si riesca a frenare. Certo, come sempre succede, avremo un calo domenica e lunedì, con i dati riferiti al fine settimana quando rallenta l’esecuzione dei tamponi, ma la tendenza è consolidata».

In un giorno però sono stati registrati solo tre decessi.
«Vero. Purtroppo, questo dato può risultare ingannevole. Guardiamo a cosa sta succedendo negli Stati Uniti. Semplificando: i morti arrivano sempre dopo. Prima c’è un incremento di infezioni, poi, dopo 20-30 giorni, quello dei decessi. Certo, rispetto a marzo e aprile, il sistema sanitario sa rispondere meglio, curare con più efficacia i pazienti, ma già oggi registriamo casi gravi, già oggi vediamo aumentare il numero dei pazienti in terapia intensiva. Per questo sarebbe stato importantissimo tentare di raggiungere il traguardo dei contagi “zero”, era a portata di mano, abbiamo fallito».

Lei avrebbe chiuso le discoteche?
«Di questa cosa delle discoteche aperte io non mi capacito. Andrebbero chiuse immediatamente, e mi dispiace per gli imprenditori e per chi vi lavora. Prevediamo degli aiuti economici, per carità, ma la discoteca non deve funzionare. Non solo andrebbero chiuse, ma proprio non dovevano aprire».

Ma davvero quel genere di locale è così pericoloso per la trasmissione del coronavirus, anche all’aperto?
«Sta scherzando? Prima di tutto è molto difficile mantenere il distanziamento sociale. Inoltre, l’attività in una discoteca aumenta la respirazione profonda, le persone vanno in anaerobiosi, si muovono, hanno bisogno di respirare molto di più. Questo facilita le infezioni. Penso all’esempio di un giocatore di rugby durante una partita ha contagiato molti altri giocatori. E mi perdoni: discoteca al chiuso o all’aperto, cambia poco».

A settembre-ottobre però anche sui mezzi del trasporto pubblico, dove difficilmente sarà garantito il distanziamento, rischiamo molto.
«Certo. Secondo me aumenteranno sia il numero dei focolai, sia le loro vastità. Ma la verità è che dovevamo quest’estate avvicinarci a zero casi. Sarebbe stato possibile. Io non so, per esempio, perché per tempo non abbiamo preso le contromisure per limitare i casi di rientro. Non parlo degli immigrati, che sono una parte molto marginale, penso a chi torna ad esempio dalle vacanze in altri paesi d’Europa. Bisognava attivare i controlli prima, predisporre dei protocolli. Se necessario anche chiudere le frontiere».

Cosa ci deve preoccupare?
«Il punto di rottura lo avremo quando i focolai, per dimensioni e per numero, riusciranno a sopraffare la capacità di risposta del sistema sanitario. Si passerà dalla trasmissione a focolaio a trasmissione diffusa. Mi spiace, ma a quel punto dovrà essere chiaro che le zone, le aree, in cui capiterà questo dovranno essere chiuse immediatamente. Non ci sarà alternativa ai lockdown locali».

Sarà inevitabile?
«Purtroppo l’Italia non è una bolla, guardiamo il resto d’Europa. Ciò che avviene da altre parti a volte anticipa ciò che poi potrà avvenire da noi».

Cosa abbiamo sbagliato?
«Con molta franchezza, a costo di farmi dei nemici: è stato sbagliato non prevedere riaperture graduali, differenti da regione a regione. Inoltre, ci si è calati le braghe di fronte alle esigenze dell’industria turistica. Bisognava limitare gli spostamenti all’interno dell’Italia, se necessario, ma anche dall’Italia ad altri paesi d’Europa».

Spesso ce la prendiamo con l’imprudenza dei giovani, ma sempre più di frequente prevale l’incoscienza dei quarantenni-cinquantenni che rifiutano la mascherina anche nei luoghi pubblici e ripetono “il virus non esiste”.
«Purtroppo sono passati messaggi sbagliati, inutile che ce lo nascondiamo. Messaggi scientificamente non supportati. Questi sono i risultati. La scienza è fatta di tre cose: domande, misure e analisi. Se uno si limita solo a fare la misura e non la correla con l’analisi, fa una mistificazione. Uno può dire: oggi ci sono pochissimi casi in rianimazione, ma questa è una fotografia, la scienza deve capire quale sarà l’evoluzione. Il fatto che ogni giorni vediamo aumentare il numero dei pazienti in terapia intensiva ci dice, semplicemente, che se il virus si diffonde, arrivano anche i casi gravi».
 

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