Il Babuino, il Tevere e altre storie

di Fabio Isman
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Sabato 22 Ottobre 2016, 17:20
La strada colleziona targhe storiche che evocano le piene del fiume e personaggi illustri vissuti a Roma

IL TRIDENTE
Ma quanti segreti nasconde il Tridente, le tre strade che partono a raggiera da piazza del Popolo (di Ripetta, Corso, Babuino). Quanti misteri si sono consumati dentro i suoi palazzi, quante notizie si leggono ancora sulle lapidi delle loro facciate. Prendiamo uno dei tanti incroci, quello tra le vie Babuino e Laurina. In questa strada, una lapide mostra un'antica dizione: «Via Peregrinorum»; dalla Flaminia, i viaggiatori e i pellegrini entravano in città da Porta del Popolo, e passavano di qua. Infatti, sopra c'è un medaglione che ne ritrae un mucchio. Sotto, un'altra iscrizione, che evoca Clemente VIII, papa Aldobrandini; ma soprattutto, un'esiziale piena del Tevere, il cui livello raggiunto è indicato dalla parola «huc», in latino qui, debitamente sottolineata: l'altezza toccata dal fiume il 24 dicembre 1589, la più elevata mai registrata da quando si è cominciato a misurarle, quasi 20 metri.

LE ALLUVIONI
Di alluvioni ve ne sono state moltissime, almeno finché i piemontesi, arrivati a Roma, non pensarono d'imbrigliare il fiume con i muraglioni. Qualcosa andava fatto, per salvare l'Urbe; Garibaldi, giunto in Parlamento, propone perfino di deviare il corso del Tevere. Lapidi che ricordano le piene, sono numerose. La più antica è all'Arco dei Banchi, rione Ponte, a memoria di quella del 5 novembre 1277. La misura, per tantissimo tempo, era presa all'Igrometro di Ripetta, a Largo San Rocco, che si vede ancora. Una colonna del Porto, ora a Lungotevere Marzio, reca il segno inciso di numerose misurazioni. Ma quello del 1589 non fu certo uno splendido Natale per i romani: crollarono anche tre arcate del ponte Senatorio, uno dei pochi che allora univano le due sponde; mai più ricostruito e da allora chiamato, appunto, «Ponte rotto».

LE TARGHE
Giriamo l'angolo; siamo a via del Babuino, tracciata da Clemente VII de' Medici per favorire l'afflusso al Giubileo del 1525. Prima, ci stava una colonia napoletana: era nota come via dell'Orto di Napoli. In questa strada, se ne va Gerolamo Napoleone (all'hotel de Russie), e al numero 58 nasce il poeta Trilussa (al secolo Carlo Alberto Salustri), Ci vivevano Salvator Rosa («di costa alla fontana», che è quella del Babuino), Johann Wolfgang von Goethe, «madame» Recamier, Jean-Baptiste Poussin, Rodolfo Lanciani, grande scavatore della città divenuta la Capitale. Al numero 89, abitava Carolina Sayn di Wittgenstein: quindi, proprio qui si consuma il vano, e mai concluso, amore con Franz Liszt. Sopra un antiquario, viveva e lavorava Richard Wagner. Al numero 24 c'era l'Osteria del Leone. C'è anche parecchio d'altro che si potrebbe raccontare.

LA FAMIGLIA
Ai numero 38 - 41 c'è il palazzo costruito nel Settecento per i Boncompagni, che nel secolo successivo è sopraelevato da Vincenzo Vespignani.
Al primo piano, 11 medaglioni con (ancora) altrettanti busti d'imperatori romani; al secondo, nicchie con conchiglie. E' rifatto per la famiglia Sterbini: erano loro pure due altri edifici, a via di Monserrato e ai Banchi di Santo Spirito. La casata viene da Ferentino, e si dice che derivi il nome da un comandante lanzichenecco, giunto su richiesta papale, per liberare le campagne dai briganti. Era un crudele, e da qui il cognome, che discende dal tedesco «sterben», ovvero morire. A compensa del suo servizio, costui ottiene delle terre; e la famiglia, alla corte papale, una discreta fama: è ammessa anche tra le Guardie nobili. Però un Cesare, nato nel 1784, offre a Rossini i versi del Barbiere di Siviglia, dalla commedia di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais. E un altro, Pietro, scrive la tragedia «La Vestale», nel 1827 in scena al teatro Valle, ma poi vietata dalla censura per le idee liberali; tanto che un'altra sua pièce gli valse il confino. Diventa anche ministro dei Lavori pubblici, al Commercio e all'Industria nella Repubblica Romana; e poi, conservatore dei musei: caduta la quale, è di nuovo esule. Per indicare che allora, a Roma, non era certo difficile fare carriera, come sempre nei luoghi di immigrazione.
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