Roma, il fratello della prof uccisa al Babuino: «Ammazzata per un sms travisato»

Michela Di Pompeo
di Alessia Marani
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Martedì 20 Marzo 2018, 19:59 - Ultimo aggiornamento: 20:31

Michela Di Pompeo, 47 anni, professoressa della Deutsche Schule di Roma, venne uccisa dal compagno Francesco Carrieri, 55 anni, nella loro casa in affitto di via del Babuino nella notte del 1 maggio del 2017. Un "folle" gesto dovuto alla gelosia, così si era difeso l'uomo, un dirigente della Banca Popolare di Novara, all'inizio; si disse allora che probabilmente Michela volesse lasciarlo, che lui aveva trovato nel suo cellulare il messaggio di un ex. Per questo lui prima la strangolò nel sonno e poi la colpì più volte, con un manubrio da palestra, accanendosi su di lei fino a sfigurarle il volto. 

I TESTIMONI
Ma alla vigilia dell'udienza più importante del processo a suo carico, forse quella decisiva, viene fuori una realtà completamente diversa. Domani, mercoledì 21 marzo, il giudice ascolterà il fratello della donna Luca, che vive a Trento, una sua amica e i due psichiatri che hanno compilato le certificazioni mediche di Carrieri che in quel periodo, per problemi con l'azienda, era stato assente dal lavoro. Un supplemento di indagine voluto dai legali della famiglia Di Pompeo dopo che il pm ha avanzato la richiesta di 12 anni di carcere per il bancario tenendo conto, però, anche delle "attenuanti" dovute allo stato psichico dell'uomo in quel momento.

«Morale - afferma Luca - la pena rischia di abbassarsi ulteriormente e le figlie di mia sorella temono di ritrovarsi quell'uomo davanti e libero tra pochi anni. Quali sono le attenuanti? Si è costituito? Ma i carabinieri sarebbero arrivati subito a lui, era scontato. Le turbe psichiche? Davvero possono giustificare da sole tanta efferatezza, più colpi inferti con le mani? Noi non vogliamo dire che il suo fosse un atto premeditato ma di sicuro un'azione del genere non può essere scaturita da un momento di non lucidità». Luca, mamma Angela, papà Marcello, le amiche e le alunne tutte di MIchela, invocano a gran voce che in fase di giudizio venga tenuto conto «non solo delle attenuanti, ma anche delle aggravanti che non si possono affatto tralasciare».

"NON VOLEVA LASCIARLO"
Perché Michela quell'uomo così "possessivo e diverso da lei" non voleva affatto lasciarlo. Quella stessa mattina, trascorrendo il weekend al mare con una coppia di amici, entusiasta, era andata a vedere l'abito da sposa, perché di lì a poco i due si sarebbero sposati.  E quel messaggino di un ex non arrivò sul suo telefonino quella notte, ma qualche giorno prima e non paventava affatto l'esistenza di una relazione ma c'era scritto semplicemente "Michela per caso sistemando delle cose ho ritrovato un tuo scritto. Volevo dirti che sono contento di avere conosciuto una persona come te".

L'ODIO
Un messaggio di questo tono a cui la professoressa rispose cordialmente. Che cosa meditava, dunque, nella sua testa Carrieri tanto da sferrare contro di lei così tanti colpi? Perché da uomo era arrivato a odiare a tal punto la sua donna?. "Francesco aveva avuto dei problemi al lavoro e gli era stato offerto di tornare in Puglia, suo luogo d'origine, o di rimanere nella Capitale ma con mansioni inferiori - racconta un'amica - Avrebbero dovuto lasciare l'appartamento al Babuino pagato dalla banca, ma Michela aveva già risolto tutto trovando una sistemazione alternativa grazie all'aiuto del padre delle figlie. Erano così diversi: lei un'anima elevata, con cui discutere di letteratura e filosofia, lui così attratto dalle moto, dai bei vestiti, dai pranzi e dalle cene fuori. Ostentava, come ostentava l'amore per lei. La teneva sempre stretta, la baciava di continuo davanti agli altri. Forse non ha retto allo smacco di sentirsi in qualche modo inferiore a lei. Il cliché dell'uomo invincibile lo tormentava". I familiari di Michela non cercano vendette. "Ma chiediamo una giustizia giusta, con una pena commisurata alla violenza del delitto. Michela non c'è più, lui non ha nemmeno mai chiesto perdono". 
 

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