Il campanello che suona agli orari più improbabili, anche nel cuore della notte. La telecamera di videosorveglianza distrutta. E poi gli insulti gratuiti, le minacce di botte che si sono trasformate da semplici intimidazioni a realtà. Per un anno intero ha perseguitato il portiere del palazzo in cui viveva e anche il figlio. Per questo Daniele L., romano classe 1985, è stato condannato a un anno e 9 mesi. Le accuse vanno dallo stalking, alle minacce, passando per danneggiamento e violenza privata. Una pena, quella assegnata dal tribunale monocratico, che per il momento non sconterà, visto che il giudice ha scelto di concedergli la sospensione condizionale. Il pubblico ministero aveva chiesto 3 anni e 8 mesi.
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LA VICENDA
È il febbraio 2020 quando iniziano le prime prepotenze del 38enne nei confronti del portiere, colpevole, secondo l'imputato, di avere un cane troppo rumoroso.
Ferite fisiche non gravi, guaribili in 4 giorni. Quelle psicologiche molto di più. La goccia che aveva fatto traboccare il vaso era stata la telecamera di sicurezza distrutta in mille pezzi «per eliminare ogni possibile strumento di dissuasione», secondo l'accusa. Nemmeno la presenza degli altri condomini o le forze dell'ordine chiamate dal guardiano, preso dalla paura, sono riuscite a fermare il 38enne. Una situazione diventata sempre più insostenibile che aveva causato alle vittime, difese dall'avvocato Fabienne Cotza, «un perdurante e grave stato di ansia e di paura - si legge nel capo d'imputazione - e ingenerava in lui il fondato timore per l'incolumità sua e del figlio». Tanta, troppa la voglia di andarsene. Non riusciva più a uscire di casa, a fare il suo lavoro di portiere, tanto da sentirsi costretto «a trasferirsi altrove per sottrarsi a tale insostenibile persecuzione».
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