Sisma del 2016: Erica e la promessa di riparlarsi e chiarirsi con il papà poi quella terribile scossa

Erica e Sabatino
di Sabrina Vecchi
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Lunedì 28 Agosto 2023, 11:32 - Ultimo aggiornamento: 11:42

RIETI - «Papà era tifosissimo della Juve, aveva un’enorme bandiera bianconera sul balcone che gli amici sostituivano di notte con quella dell’Inter, per scherzare». Sabatino Giamogante, morto a 57 anni nel terremoto del 24 agosto 2016, era legato a doppio filo con il mondo del calcio: la figlia Erica ricorda come non solo fosse il vicepresidente della squadra del Cittareale, ma anche il tuttofare che faceva le strisce, sistemava il campo, si occupava di maglie e reti.
«Era nato e cresciuto nella frazione “Sacco”, dove erano andati a vivere con mamma. Poi siamo nate io e mia sorella Flavia, per gli spostamenti scolastici abbiamo abitato a Cittaducale, ma il legame con il paese è stato sempre fortissimo, ogni occasione era buona per andare».
Accade anche quell’estate di sette anni fa, con Sabatino imprenditore edile e molto attivo nel sociale che fa la spola per i paesi vicini, per organizzare, pianificare, prendere contatti. Destino vuole che lo fece anche ad Amatrice quella notte, dove si stava svolgendo la Festa dei Borghi d’Italia, a pochi giorni da quella che doveva essere la cinquantesima edizione della sagra degli spaghetti. «La sera prima avevamo un po’ discusso - racconta Erica – piccoli diverbi familiari di cui si pensava di discutere con calma, in seguito. Ma non c’è stato il tempo». Il corpo di Sabatino venne ritrovato dal fratello Rodolfo, allora ispettore Forestale, arrivato il mattino presto per mettersi a scavare ai corpi speciali per cercarlo, nei pressi di quello che era il corso principale del paese: «Ore terribili, non rispondeva al cellulare e non ci facevano passare. Nei giorni successivi abbiamo ricevuto supporto degli psicologi, sono arrivati tutti i parenti. Il riconoscimento del corpo lo fece mia madre, ci fu un po’ di scompiglio per i funerali, chi li voleva di Stato, chi a Rieti, chi no. Alla fine abbiamo deciso di farli privatamente, ma il grande rammarico è di aver ricevuto una bara chiusa: io e mia sorella avremmo voluto vederlo, vestirlo come volevamo».
Le esequie si tennero il 30 agosto nel Santuario della Madonna di Capo d’Acqua a Cittareale: il feretro lo vollero portare a spalla gli alpini, di cui Sabatino faceva orgogliosamente parte, e naturalmente gli amici del calcio, con la divisa d’ordinanza: «Cittareale ha perso una colonna, una persona unica, riferimento per tutta la nostra comunità», scrisse la squadra sui social. La domenica dopo il minuto di silenzio della Serie A. «C’erano bandiere, palloni, i disegni dei bambini. In seguito fu fatto un memorial, a Rieti per ricordarlo - racconta Erica - sono cose che ti aiutano ad andare avanti». Lei, che al momento del terremoto aveva 20 anni, era la più legata a quel padre estroverso ma a tratti burbero: «Era orgoglioso di noi figlie ma spesso lo diceva agli altri, non riusciva ad esternarlo. Di quella sera mi rimane il rimpianto di non aver sviscerato bene le nostre opinioni: pensi di avere la vita davanti per dirgli quanto gli volevi bene, poi invece basta un attimo e finisce tutto».
Dopo quella scaramuccia d’agosto, Sabatino digitò di nuovo il numero della figlia Erica: «Erano le 9 di sera, mi chiamò per dirgli se potevo portargli da Rieti un pezzo di cartongesso, di cui aveva bisogno l’indomani.

Gli dissi di sì e ci salutammo: non saprò mai se gli serviva davvero o era una scusa per risentire la mia voce e in qualche modo riappacificarci. A modo suo».

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