Ricatto hard a due studentesse reatine

Indagini della squadra Mobile di Rieti
di Emanuele Faraone
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Sabato 17 Febbraio 2024, 00:10

RIETI -  Il suo soprannome era “Redbullo”, 26enne chietino che aveva ricattato due studentesse reatine e deteneva materiale pedopornografico nei suoi dispositivi elettronici con minori ripresi in pose oscene o coinvolti in scene di sesso con adulti ed altri video della stessa natura. Per la detenzione di quelle immagini e di quei video, nonché per le azioni di ricatto nei confronti delle due adolescenti reatine il 26enne abruzzese, originario della provincia di Chieti è stato condannato nei giorni scorsi con sentenza di condanna definitiva alla pena di un anno e otto mesi di reclusione, nonché al pagamento di una multa di 1400 euro. 

L'indagine. Un’indagine avviata e conclusa dalla squadra mobile di Rieti – al tempo diretta dal dirigente Antonella Maiali – quando nell’estate del 2016 il giovane era stato denunciato a piede libero dagli investigatori reatini dopo che le due giovani vittime, studentesse delle scuole superiori a Rieti, avevano preso coraggio e sporto denuncia nei suoi confronti per diffamazione aggravata dopo le reiterate azioni ricattatorie poste in essere da “Redbullo” pronto a “spammare” i loro profili o i loro numeri di telefono dandoli in pasto a siti nordafricani hard per adulti. 

Il ricatto. Il 26enne infatti, dopo aver acquisito le rispettive utenze telefoniche, aveva pubblicato su siti informatici, senza il loro consenso, foto personali che ne ritraevano i volti, accompagnate da frasi diffamatorie e le aveva addirittura minacciate di diffonderle in rete. Simili azioni vessatorie e di minaccia - come accertato dalla Mobile reatina – si erano estese anche ad altre donne della provincia di Chieti e di Isernia che erano cadute nella rete virtuale del giovane che, dopo aver adescato le sue vittime, le teneva in pugno sotto ricatto.

Da qui era poi scaturita una successiva attività investigativa sottotraccia da parte della squadra mobile che - grazie alla delega da parte della Procura – aveva portato al sequestro a carico dell’indagato di tutto il materiale informatico in suo possesso (telefoni, computer, schede di memoria) utilizzato per mettere in atto le azioni diffamatorie e all’interno del quale era custodito materiale a sfondo pedopornografico consistente in oltre 1000 fotografie di minorenni in atti sessuali con adulti o in pose oscene. 

La scoperta. Immagini e video estrapolati, analizzati e visionati dal personale della Squadra mobile nell’ambito di un certosino e tecnologico lavoro hi-tech di laboratorio tra studio dei frame, produzioni di copie forensi e digitalizzazioni ma, soprattutto, un’enorme mole di attività svolta per poter sequestrare circa mille immagini a partire da un numero enorme preso in esame: oltre 500mila fotografie. Il giovane era stato quindi denunciato anche per il reato di detenzione di materiale pedopornografico e il Tribunale di L’Aquila, competente per materia e per territorio, all’esito dell’udienza preliminare nella quale l’indagato aveva optato per il rito alternativo del giudizio abbreviato, lo ha condannato alla pena di anni 2 e mesi 6 di reclusione, ridotta alla reclusione di anni 1 e mesi 8 ed alla multa di euro 1400, con pena sospesa. 

La condanna. La sentenza è stata confermata dalla Corte di Appello di L’Aquila ed è divenuta irrevocabile a seguito della pronuncia della Suprema Corte di Cassazione, alla quale l’imputato si era rivolto alla fine del 2023, che ha dichiarato inammissibile il suo ricorso. Il giovane è stato, nella circostanza, condannato anche al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della Cassa delle Ammende. Una sentenza che chiude definitivamente la brutta vicenda in cui erano incappate diverse donne.

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