Governo, un'altra giornata di trattative tra M5S e Pd. che, alla fine riguardano un solo nome. Luigi Di Maio invoca Giuseppe Conte premier: «È l'unico in campo». Nicola Zingaretti ribadisce il no e risponde che il Pd non è disposto ad andare al governo con il M5s per tappare i posti lasciati vuoti dalla Lega: «L'Italia non capirebbe un rimpastone del governo caduto».
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In una conferenza stampa nel pomeriggio il segretario dem parla della necessità di «discontinuità». Sullo sfondo il rapporto tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio che sembra sempre più sfilacciato.
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LA GIORNATA
I partiti hanno ancora un giorno per dare un'indicazione al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Ma, come ammette il segretario Pd dopo aver sentito al telefono il capo M5s, «una soluzione ancora non c'è». Non è ancora ufficialmente spento neanche il «forno» M5s con la Lega. Tanto che circolano romours su un possibile incontro tra i vertici dei due partiti. L'ipotesi di ritorno al voto esiste. Ma è forte il pressing di Dem e pentastellati sui loro leader per l'intesa: se i M5s non cederanno a un nome terzo, l'idea di un « Conte 2» (magari senza Di Maio) ha molti sponsor tra i Dem.
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Dal Quirinale non trapela nulla di più di quanto detto dal capo dello Stato al termine delle consultazioni. Nulla è cambiato: non si fanno sconti né dilazioni. Lunedì sera si attende di sapere dalle forze politiche qual è il risultato del loro confronto: su queste indicazioni verrà disegnato il calendario delle consultazioni. Che potrà quindi essere più o meno rapido. Mattarella attende ancora di sapere se c'è una maggioranza in Parlamento in grado di formare un nuovo governo. Il M5s stringerà un nuovo patto con il Pd o farà un - ad ora del tutto inatteso - ritorno alla Lega? Questa la prima risposta da dare. Chiusa ogni altra possibilità, il presidente della Repubblica traccerà la via verso il voto a novembre.
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Matteo Salvini, dopo aver lanciato i suoi ami a Di Maio, tace, nella speranza di tornare in partita se salterà il tavolo M5s-Pd. Ma è a quel tavolo che ora si tratta. A partire dal nome del premier. Roberto Fico, nome sui quali i Dem avevano fatto trapelare il loro gradimento, si tira fuori in nome dell'unità del Movimento e fa sapere di voler «responsabilmente dare continuità al suo ruolo» di presidente della Camera. E quando, dopo una giornata di silenzio, Di Maio sente al telefono Zingaretti, gli ribadisce che la linea del Movimento, da Beppe Grillo in giù, è di «lealtà» a Conte: deve essere lui il premier giallorosso. Il segretario Pd dice che accettare il garante del contratto gialloverde non può. Zingaretti esprime «malessere» per gli ultimatum dei pentastellati. Di Maio lamenta il veto Democrat. Si salutano senza aver trovato una soluzione. Ma se ne cerca una: il dialogo è aperto, fanno sapere dal Nazareno.
«Serve discontinuità anche sui nomi», sottolinea. Boccia la politica economica del governo M5s-Lega (e quindi, nota qualcuno, l'ipotesi di una conferma di Giovanni Tria gradita al M5s), invoca una svolta «green» e dice di voler dialogare su un patto di governo (non un contratto) con M5s e sinistra. La risposta a caldo del Movimento è durissima: «La soluzione è Conte e i dieci punti che abbiamo posto, non possiamo aspettare il Pd». «Parlate solo di poltrone», ribatte dalla segreteria Dem Andrea Orlando. In serata circola l'ipotesi che il Pd dica sì a Conte premier ma senza tutti gli altri ministri uscenti del M5s, incluso Di Maio. Di Maio dovrà esserci, replica il M5s. Ancora poche ore per trattare.
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