Web tax all'italiana sul binario morto

Web tax all'italiana sul binario morto
di Andrea Bassi e Luca Cifoni
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Lunedì 7 Maggio 2018, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 8 Maggio, 08:51
Nel maggio 2017 a Bari, al vertice dei ministri finanziari del G7, l’Italia aveva spinto per accelerare il percorso internazionale verso la web tax. L’obiettivo era fare in modo che i colossi multinazionali digitali versassero al fisco, nei Paesi in cui fanno affari, importi un po’ più sostanziali e meno simbolici. A un anno quasi esatto di distanza, quel traguardo non è ancora in vista nonostante a livello nazionale sia stata approvata dal Parlamento - con la legge di bilancio - una normativa ad hoc che sulla carta dovrebbe entrare in vigore dal 2019. In realtà lo stallo è doppio, a livello italiano ed europeo.

Quello di casa nostra dipende dalla prolungata stasi politica ma anche dai dubbi sulla soluzione tecnica messa a punto lo scorso autunno, che paradossalmente rischia di penalizzare proprio le aziende italiane; mentre il mancato accordo a livello continentale rende al momento poco praticabile l’opzione di riserva, ovvero correggere il tiro per adeguare la nuova tassazione alle indicazioni provenienti da Bruxelles. Dunque toccherà al nuovo governo, quando ci sarà, prendere una decisione per evitare che la web tax finisca definitivamente su un binario morto.

SCADENZA SUPERATA
In realtà c’era una scadenza intermedia che è già stata superata: entro il 30 aprile il ministero dell’Economia con un proprio decreto avrebbe dovuto specificare nel dettaglio i servizi digitali toccati dal nuovo tributo, che consiste in un prelievo del 3 per cento sul loro valore. Si tratta quindi di una tassa che colpisce non gli utili ma i ricavi. Questa scelta, che è sostanzialmente condivisa nelle ipotesi fin qui esaminate a livello europeo, nasce come scorciatoia per aggirare i complessi problemi tecnici e giuridici posti dal fatto che molte delle imprese web interessate non hanno la sede nel nostro Paese, ma naturalmente si presta a sua volta ad obiezioni.

Lo hanno fatto presente anche gli operatori dell’e-commerce italiano (raccolti nel consorzio Netcomm) in una lettera al governo italiano relativa proprio ai progetti di tassazione europea. Il concetto di fondo che il nuovo prelievo rischierebbe di trasformarsi in una sorta di dazio aggiuntivo ai danni delle piccole e medie imprese europee: vengono proposti una serie di correttivi, tra cui l’esclusione delle transazioni che riguardano la fornitura di beni materiali e un’esenzione per le piccole imprese della Ue che vendono a clienti al di fuori dell’Unione. 

L’approccio dell’Unione europea, al quale l’Italia potrebbe cercare di adeguarsi, rappresenta a sua volta un tentativo di accelerazione rispetto ai progetti esaminati in un ambito internazionale ancora più vasto, quello dell’Ocse, organizzazione di cui fanno parte anche gli Stati Uniti che sono particolarmente sensibili al tema visto che molte delle società digitali sono americane. Ma tutto ciò richiede quindi un consenso ancora più ampio, per cui i tempi sono per definizione incerti. Tornando alla web tax italiana, in teoria ci sarà ancora tempo per definire il decreto ministeriale pur se in ritardo, anche se è ragionevole pensare che il nuovo esecutivo vorrà rimettere mano all’impostazione stessa del tributo.

IL REGOLAMENTO COMUNITARIO
Le strutture tecniche del ministero hanno comunque avuto già alcuni incontri con le aziende del settore. Per la definizione dei sevizi digitale da sottoporre a tassazione l’idea è fare riferimento a quelli elencati in un regolamento comunitario (282 del 2011), che include tra gli altri la fornitura di software, le gestione di siti web, le offerte forfettarie di servizi Internet, l’hosting di siti web, la conservazione di dati on line, la fornitura di spazio pubblicitario sul web, l’accesso a contenuti multimediali. 

Se il decreto dovesse andare in porto, per la concreta applicazione della web tax all’italiana mancheranno comunque ancora alcuni passaggi (ad esempio quelli relativi agli obblighi di dichiarazione e di versamento) che dovranno essere chiariti dall’Agenzia delle Entrate con propri provvedimenti.
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