“La vedova”, il testo dello scrittore britannico per il Festival Letterature di Massenzio

“La vedova”, il testo dello scrittore britannico per il Festival Letterature di Massenzio
di Hanif Kureishi
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Giovedì 13 Luglio 2017, 00:43 - Ultimo aggiornamento: 14 Luglio, 14:44
«Quasi 10 anni fa avevo incominciato a scrivere una serie di racconti interconnessi: due coppie di coniugi in pensione, vicini di casa, si incontrano la sera per narrarsi storie di vita vissuta...» scrive Hanif Kureishi che quel libro non lo completò mai. Grazie alla gentile concessione di Bompiani, Il Messaggero ne ospita un racconto, “La Vedova”, che sarà letto da Kureishi questa sera, 13 luglio, al Festival Letterature di Massenzio, a Roma, alle ore 21. Leggeranno i loro testi anche Jan Brokken, Viet Thanh Nguyen e Melania Mazzucco. 


Douglas venne in camera da letto portando un vassoio con formaggio, gallette e olive, baciò Janice e disse: «Sentire raccontare gli amori del proprio partner non piace a nessuno, ma l’ultima storia mi ha messo di buon umore.» «Sono contenta che ti abbia fatto ridere» disse Janice. «Comunque neanche questa storia dovrebbe preoccuparti, Lucy.» «Bene, di che cosa parla?» «Parla di una donna nota come “la vedova”» «Non credo di averla mai sentita» disse lei. «Sarà una novità.» «Tanto meglio.» Douglas si sedette sul letto e disse: «Avrò avuto ventun anni quando mio padre mi portò per la prima volta a casa della vedova. «Con mio padre non ci stavo volentieri, ma lui si mostrava gentile, credo che cercasse di farmi socializzare, forse perché passavo la maggior parte del tempo nel suo appartamento a cercare di scrivere commedie e ad ascoltare gruppi tedeschi come gli Amon Düül. «Naturalmente mi aspettavo che la vedova fosse una vecchia. E lo era: più vecchia. Lei sui quaranta, io ventuno. 

GENESI DI UN AMORE
Il marito era stato un collega di mio padre, mi pare che fosse morto l’anno prima. Dopo essere stato lettore universitario come papà, era diventato un personaggio famoso e controverso grazie a una specie di trattato sulla liberazione sessuale, poi aveva sposato Stella, questa bohèmienne ricchissima e bellissima, che se l’era ampiamente spassata nei sixties. La mamma di Stella faceva la pittrice, lei e suo fratello sembravano divi del cinema. Mentre noi a Orpington ce ne stavamo in casa a guardare Lucy ed io, loro abitavano in Italia e in Francia, prendevano il sole intorno alle piscine, dormivano con gli amici, frequentavano le band e recitavano nei film italiani. «Stella aveva una bella casa piena di libri e quadri e sculture; stava a Holland Park, e nel parco, come scoprii con stupore, i pavoni c’erano davvero.

«Ma papà e io stavamo dall’altra parte della rotonda, a Shepherd’s bush, da quando i miei separandosi avevano venduto la casa di famiglia. A quel tempo il quartiere era ancora come negli anni quaranta, coi suoi negozietti di mobili usati e ristoranti antiquati in cui anziani uomini e donne mangiavano da soli, serviti da vetuste cameriere in gonna nera. C’era uno di quegli “eel pie” dove ti servono l’anguilla e il pasticcio di carne, anzi c’è ancora. «Io avevo appena mollato l’università, o meglio ne ero stato mollato, e dormivo sul divano di papà. Mi sentivo insignificante e invisibile, ero paralizzato dalla depressione. «Ma un pomeriggio papà e io ci ritrovammo seduti a tavola davanti a lei, la vedova che vestiva sempre e solo di nero - perfino la sua tintura per capelli era “nero vedova”. Non riuscivo a staccare gli occhi da lei, che prese atto della mia esistenza rivolgendomi un sorriso da Monna Lisa ma non una seconda occhiata: aveva troppo buon gusto; Nondimeno, prima che ci congedassimo, disse a mio padre: “È un giovanotto interessante”. «“Sul serio?” stupefatto, papà fece un passo indietro e mi guardò come se non mi avesse mai visto prima.
 
LE REGOLE DELL’ATTRAZIONE
«Il giorno dopo tornai a trovarla e diventammo amanti. «Era il suo dolore ad attrarti?» chiese Janice. «Di dolore ne avevo già abbastanza per conto mio, grazie tante. Credo che fosse la sua bellezza ad attrarmi. Magari, dato che sono sempre stato un tipo premuroso, pensavo che avrei potuto renderla un po’ meno triste. «Forse ero anche influenzato da mio padre, che aveva il mito degli anni sessanta. Ah, quanto ero stato fortunato, mi ripeteva, a nascere dopo la ‘rivoluzione’… come se prima di allora ci fossero state solo incursioni aeree e frutta in scatola. Ma verso la metà degli anni ‘70 i sixties erano ormai estinti, e Londra, come ci facevano sapere i Clash, era decisamente tetra, anche per chi come me prendeva il sussidio di disoccupazione. «Credevo che Stella avrebbe potuto insegnarmi qualcosa. In effetti ascoltava musica tutto il giorno, ma solo quella più triste. Mahler e la messa da requiem di Verdi in continuazione, e pianisti come Richter e Rubinstein, alla fine li sapevo nota per nota. E se ne stava a letto a leggere Baudelaire, Huysmans e Genet in francese - Proust in inglese, perché adesso, a quanto pareva, con la traduzione di Scott Moncrieff era scritto meglio. Quando finiva un volume me lo lanciava. Non avevo altra scelta: dovevo leggere, per la prima volta in vita mia. Amava parlare dei personaggi, soprattutto di Swann e Odette, come se li conoscessimo personalmente.
«Oggi per me felicità significa andare al caffè in fondo alla strada, ordinare una bottiglia di vino e leggere. Leggere è un’attività che non richiede la presenza di una donna. Mi faccio un libro al giorno. «Ma all’epoca anche altre cose mi piacevano.

CHARLOTTE ED HELMUT
«“Vieni a occuparti di me, tesoro” mormorava con voce roca, appena entravo. «nella mia immaginazione la accostavo a Charlotte Rampling… sottile, altolocata e infinitamente superiore, con le sue lingue, il gusto e l’uso di mondo.» «Quando Bowie si trasferì a Berlino, coi miei amici delle band guardavamo Il portiere di notte, Cabaret e La caduta degli dei. I film con Helmut Berger, in particolare, erano la mia passione. Mi vergogno a dirlo, ma tenevo una foto di Helmut nel portafoglio. Andai perfino a rivedere varie volte una romantica donna inglese, figuratevi. «Oggi sembra incredibile, ma a quel tempo se volevi la pornografia la trovavi nell’arte. e per me il cinema era la forma d’arte che meglio si prestava alla perversione. A quel tempo ero erroneamente convinto che i perversi si prendessero il massimo del godimento, il che, per noialtri, significava bordelli, uniformi, prigioni, veneri in pelliccia e chiome ossigenate. 

ENIGMI E GAUDIO
«E Stella, cominciavo a scoprirlo, era un enigma adorabile. Sulla scrivania del marito c’erano ancora le sue sigarette e gli occhiali; sullo schienale della sedia la sua giacca, in bagno l’occorrente per radersi. C’erano foto di lui in ogni stanza. «Si vedeva che i due avevano viaggiato parecchio, lui teneva conferenze su temi alla moda davanti a platee gremite. «Mi ero intromesso in una morte. Ma adesso lei stava con questo pischello: il sottoscritto. Era la mia ragazza. «“Ti piace il cunnilinguo?” aveva chiesto il primo giorno. «Non è una domanda che uno si senta fare spesso, ne converrete. E sì che, a mio modesto parere, sentirsela rivolgere con maggiore frequenza gioverebbe a molti. «“A me piace la lingua e ne voglio tanta” dichiarò lei. “È come farsi suonare sul corpo una fuga di Bach” mi diceva. «Ero molto soddisfatto del mio quotidiano lavoro di ‘linguista erotico’, ma passai la notte da lei solo un paio di volte. Più che abbastanza, visto come si aggirava per casa in kimono nero piangendo fragorosamente e dando i pugni e la testa nei muri. Non avevo mai sentito niente di così straziante, e non sapevo che pesci pigliare per consolarla.

FIDUCIA PATERNA
«Papà, che ormai mi considerava un caso senza speranza e a casa mi aveva soprannominato ‘l’impedito’, era scioccato, e livido di rabbia: non si capacitava che una donna come lei potesse aver voglia di scoparmi. «“Gesù, figliolo, che scherzi mi fai?” disse quando tornai a casa una mattina “contavo di infilarmici io in quel letto, volevo solo godermi l’attesa.” «“Mi sa che hai atteso un po’ troppo, papà” risposi. «“Ma tu non puoi mica soddisfare un donna come quella, vero?” «“Evidentemente posso. Mi ha regalato una prima edizione di Ultima fermata Brooklyn”. «“La prendo io, in cambio dell’affitto” concluse. «Papà cominciò a premere perché mi trasferissi da Stella, puntando a un matrimonio immediato. Pareva convinto che anch’io, come il suo defunto amico, avrei potuto mettere le mani su una parte del patrimonio della vedova. Essendo al verde, considerava i soldi molto più importanti del sesso o dell’amore. Dava per scontato che entro un paio d’anni la gran dama si sarebbe talmente stufata di me che avrebbe pagato per sbattermi fuori. «Ma io cominciavo a sentirmi deluso. Se lei mi aveva sedotto, io non avevo sedotto lei. E sebbene nel mio artigianato amoroso avessi imparato una certa sviolinata laterale, apparentemente ispirata alla tecnica dei virtuosi boemi, la mia lingua gonfia e piena di bolle era ormai logora e malconcia come lo zerbino di un pub. nessuno riusciva più a capire una parola di quello che dicevo. «Me ne lamentai con Stella, e una sera ci agghindammo e mi portò a una prima al Covent Garden.

LA SCOPERTA DELL’ALTRO
Poi andammo a una festa dove mi presentò un giovanotto suppergiù della mia età e statura. “Ti vedi anche tu con Stella?” domandò. “Sì, perché? anche tu?” “Certo. E anche lui.” E indicò un piccoletto. (...) «Cominciavo a capire in cosa consistesse il fascino decadente di quella donna: letargia, incapacità di calarsi nei panni degli altri. Non dipendeva solo dalla condizione vedovile ma anche dalla condizione sociale. (...). Dopotutto ero affascinato da lei: la sua bellezza, il suo passato, i racconti sulla madre e sulle notti a Soho con gli artisti. Ma non gliene importava niente di me, mi voleva solo come figurante di una scena perversa da ripetere all’infinito, una fotografia invece di un film. «Un pomeriggio, dopo avere alzato il gomito, dormiva. Io dovevo scrivere sul concerto degli Slashed Curtains un pezzo per la rivista “Time out”, che ogni tanto mi dava un po’ di lavoro. «Stella si svegliò e mi sorprese seduto alla scrivania del marito, mentre battevo sui tasti della sua macchina da scrivere, graffiavo la carta con una delle sue Montblanc, attingevo alla sua boccetta d’inchiostro. Stavo anche fumando una delle sue Gitanes e canticchiando allegramente So long, Marianne mentre ascoltavo il suo disco di Leonard Cohen. «Si mise a urlare. “Stavo sognando e ho creduto che ci fosse lui seduto lì! Che fosse tornato da me! E invece eri tu! Solo tu!” «Sotto sotto era una donna violenta, cominciò a prendermi a calci e pugni come una forsennata. Mi inseguì intorno alla scrivania, lungo il corridoio e oltre la porta d’ingresso. Scappai via con un occhio pesto e il naso sanguinante. «Papà, che era avido come la vedova ma più volgare, in tono sarcastico e soddisfatto mentre mi medicava disse: “Grazie a dio è successo a te e non a me”. E aggiunse che stupido com’ero potevo aspirare al massimo a diventare un giornalista. «Ma è quello che sei» osservò Lucy. «Certo» rispose Douglas. «Ho avuto la sfortuna di guadagnarmi da vivere facendo un lavoro che mi piace.» «Grazie a tutti e due per le vostre storie» concluse Janice. «Comincio a sentirmi un po’ meglio, credo, ma ho bisogno di riflettere su quella povera donna, e sull’idea che se i vivi ci fanno dannare, i morti possono essere una scocciatura anche peggiore.»
 
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