Riccardo De Palo
Lampi
di Riccardo De Palo

"Uno zero" di Hanif Kureishi, la star al tramonto diventa il regista della sua stessa fine

Hanif Kureishi
di Riccardo De Palo
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Lunedì 15 Maggio 2017, 15:27
Waldo è un regista cinematografico giunto alla fine dei suoi giorni, costretto su una sedia a rotelle e incapace di vivere le gioie del sesso. Il pensiero della morte lo aiuta a vivere, lo rende curioso. Ma è con rabbia (e con i pochi sensi rimasti a disposizione) che spia le sessioni amorose della moglie indiana, Zee, sedotta da un rapace toy boy. «Immaginare è il mio mestiere - pensa mentre tende l'orecchio ai gridolini della porta accanto - e l'immaginazione è il posto più pericoloso del mondo». 

Waldo, una sorta di incrocio tra Jacques Rivette, Jean-Luc Godard e Richard Attenborough, è il protagonista di Uno zero (The Nothing, in inglese), l'ultimo romanzo di Hanif Kureishi, appena uscito in libreria per Bompiani, nella fedele traduzione di Davide Tortorella. 

L'autore di My Beautiful Laundrette avrebbe potuto scrivere una storia cupa, feroce, tristissima; ma in fondo, per questo ci sono già libri come L'umiliazione di Philip Roth, con quell'attore che vede sciogliersi i suoi grandi ruoli «nell'aria sottile» e non sa resistere a un'ultima, autodistruttiva relazione amorosa. Il tramonto di Waldo è invece un'occasione di riscatto, piena di humour, di desiderio di rivalsa. Il regista vuole avere il controllo su tutti i suoi ultimi istanti, vuole dirigere questo ultimo film che gli si presenta davanti agli occhi. «Siamo guardoni che lavorano con esibizionisti», pensa a proposito del suo mestiere, mentre continua ad osservare.

In fondo, «si è mai sentito di un artista che va in pensione»? Eddie, il giovane scapestrato che fa fremere di desiderio sua moglie, è soltanto un poveraccio ossessionato dalla celebrità e assediato dai creditori. E lui, il grande cineasta che riceve premi alla carriera, è ancora lucidissimo. Se cade a terra perché le gambe cedono, si preoccupa di non poter proferire le sue ultime parole di fronte a testimoni: spera ancora, con autoironia, che la frase finisca nelle antologie. «Loro occupano il centro della scena, io vado in dissolvenza. Sono una comparsa del mio stesso film».

Waldo ripercorre nella memoria una vita piena di eccessi, di gesti eclatanti, di amori fugaci. Capisce che la trasgressione «finisce per ribadire proprio quei principi che vorrebbe sfidare» e che «niente rafforza la regola più della deviazione». Cosa è rimasto della contestazione e degli anni Sessanta? «Ci credevamo degli illuminati, e invece eravamo solo degli snob». 

Il regista raccoglie le prove dell'infedeltà di Zee, le monta sul proprio tablet, come in un ultimo, definitivo, director's cut. Quando ha la forza di trascinarsi alla finestra, spia i vicini col binocolo. La moglie si prende ancora cura di lui con passione, come ha sempre fatto da quando l'ha incontrata, tanti anni prima, su un set di Mumbai. Salvo, ogni tanto, provare a soffocarlo con un cuscino, per vedere cosa si prova a porre fine alle sofferenze altrui. Il terzo incomodo, Eddie, è un fallito anche in qualità di amante diabolico e lo lava come un badante scrupoloso, strofinandolo con un panno. 

Il sesso non ha bisogno necessariamente di un corpo funzionante, di un orgasmo: la libidine è immortale. E la vendetta è un piatto che si serve a temperatura freddissima, glaciale, magari accompagnato da un bicchiere di Chablis.

«Allora, chi sarebbe la vittima fra noi?»
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