Hanif Kureishi: «L'integrazione ci salverà dai fondamentalismi»

Hanif Kureishi: «L'integrazione ci salverà dai fondamentalismi»
di Simona Orlando
3 Minuti di Lettura
Giovedì 4 Giugno 2015, 20:36 - Ultimo aggiornamento: 5 Giugno, 15:07
I tempi cambiano, i problemi no. Si incancreniscono, restando uguali a se stessi. Per capire quanto siamo immutabilmente incapaci di gestire le complesse relazioni nelle nuove società multietniche, basta rileggere Il Budda delle periferie (Bompiani) da poco festeggiato con un’edizione speciale per i 25 anni dalla pubblicazione, opera dello scrittore, saggista e drammaturgo inglese di origini pachistane Hanif Kureishi. Oppure si può scorrere il suo Black Album (1995), che spostava il protagonista agli anni Ottanta, un pachistano adottato da inglesi, non accettato dagli uni né dagli altri, che invece di essere un disprezzato “paki” preferisce diventare un fiero fratello musulmano. Kureishi è stato definito profetico ma lui descriveva ciò che viveva, che poi, come dice, è il compito di uno scrittore, «il resto è pubblicità». Nei due libri, Karim e poi Shahid, sono gli elementi nuovi del tessuto urbano, e qui sta il corto circuito: percepiti eternamente come nuovi, quando da tempo sono il respiro delle nostre città allargate. Kureishi torna a far ascoltare le voci delle periferie domani a “Leggendo Metropolitano”, festival della letteratura a Cagliari.



Com’è cambiata la società da quando esordì nella narrativa?

«Il Budda delle periferie era ambientato negli anni Settanta, un libro solare, di speranza. Non immaginavo ma sono seguiti periodi più difficili. Oggi mi ritrovo meno ottimista sul futuro di quanto non fossero allora i miei personaggi».



Per lei i giovani jihadisti fanno cose orribili ma noi in parte abbiamo creato questo mostro. Dove sbagliamo?

«Dobbiamo cercare altri punti di vista, usare argomenti migliori e vedere le connessioni tra Medio Oriente, Africa e Occidente, riconoscere i legami fra colonialismo, liberismo, fondamentalismo. Serve a comprendere».



Lei ha vissuto l’esclusione e il razzismo sulla sua pelle, però non è diventato un estremista...

«Perché ho avuto la possibilità di diventare uno scrittore. La rabbia e l’umiliazione l’ho trasformata in parole. Da un punto di vista letterario sono affascinato dalle vicende dei migranti e da quello che sta succedendo in Italia. Spero che fra qualche anno i bambini che sbarcano possano scrivere le loro storie come ho fatto io».



L’Europa può diventare fortezza?

«E’ impossibile, non c’è modo di costruire un muro. Il multiculturalismo non è il futuro, è il presente».



I giovani sono per antonomasia radicali. E’ una cosa buona o pericolosa?

«E’ molto triste quando diventano apatici, quando non si sentono coinvolti nel sistema politico. Devono avere passione e speranza e la speranza arriva dalla collaborazione. La collaborazione arriva con l’integrazione. La speranza è la forma più politica in assoluto».



Esiste l’Islam moderato?

«Non tutti i musulmani sono estremisti come non tutti i preti sono pedofili. Bisogna fare distinzione fra il fascismo dell’ideologia e quello dell’individuo. E i pericoli, per me che ho tre figli adolescenti, sono tanti. La crescita della destra, la forbice tra ricchi e poveri».



Cosa pensa di Papa Francesco?

«Ha l’opportunità di fare un’operazione di trasparenza. E la trasparenza è iniezione di democrazia».



A proposito di trasparenza, segue il calcio, il caso FIFA?

«Un mondo chiuso e ipocrita. Ora dovrebbe aprirsi».



Nel 1993 il suo Budda divenne serie tv, con colonna sonora di David Bowie. Fu lei a chiamarlo?

«Lo conoscevo e gli chiesi di scrivere la musica, ne era eccitato e fece un album splendido. Siamo cresciuti nella stessa periferia e siamo andati alla stessa scuola. Era un outsider, conosceva la strada molto bene, era perfetto».



La solitudine che prima o poi tutti sperimentiamo è diversa da quella di un migrante?

«Quando la gente è isolata, trova motivo di vivere in una nuova comunità, non necessariamente della sua etnia o religione. Non c’è bisogno di essere identici per essere uniti. Questo passaggio è cruciale per la solidarietà umana».