Gli archivi segreti e il Fascismo, una storia ancora da scrivere

Werner Von Braun
di Fabio Isman
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Martedì 23 Febbraio 2016, 00:26 - Ultimo aggiornamento: 24 Febbraio, 09:40
Il motto di ogni bravo storico potrebbe essere, magari parafrasando, «va dove ti portano le fonti». Lavorare negli archivi «non è facile, né semplice», racconta Mauro Canali (tra i suoi lavori Il delitto Matteotti, Le spie di regime, i rapporti tra Silone e la polizia; insegna a Camerino, 73 anni): «Spesso, sorgono incomprensioni con chi non le usa; però, chi non le consulta e non ne tiene conto, scrive una storia che non è reale: al massimo, una storia delle idee». Magari, dalle «carte» escono verità scomode; «allora, sono dolori e polemiche». Per esempio? «Quando ho scoperto che Vasco Pratolini, sia pur per breve tempo, era in contatto con l’Ovra, la polizia segreta di Mussolini; o i documenti su Silone».
 
E talora, gli archivi si leggono a mozziconi: «Come quello di Forte Braschi, la sede dei nostri servizi segreti militari; non si riesce ad esaminare un caso nella sua interezza. Ce n’è uno segreto a Palazzo Chigi: lo si è trovato una decina d’anni fa a Pratica di Mare; adesso è a Castelvuovo di Porto: ancora da riordinare. E pensare che gli inglesi, per esempio, non tengono nascosti i fascicoli sulle loro spie...». «Anche quando trovi un documento di qualche rilievo, ma scomodo, è frustrante vedere come la magari fuorviante “vulgata” che lo precedeva non ne venga intaccata; e nonostante tutto, continui poi a dominare». «A volte, la storiografia militare sembra quasi una vedova dell’ideologia».

L’EVENTO
Della questione delle fonti, anche alla luce delle ultime scoperte negli archivi, Canali dialogherà all’Accademia americana oggi pomeriggio alle 18 con David Kertzer, 68 anni, vincitore del Premio Pulitzer 2015 per le Biografie, con Il patto col diavolo, Mussolini e Papa Pio XI, le relazioni segrete fra il Vaticano e l’Italia fascista»; l’incontro è il primo di una serie, dedicata ai protagonisti della cultura di oggi. «Kertzer lo conosco bene, e il suo lavoro è importante. È stato a lungo decano della Brown University a Providence, Rhode Island, ed io ero spesso lì per il mio lavoro. Nel 1997, ha raccontato il rapimento di Edgardo Mortara: il bambino ebreo battezzato nel 1858, da cui Steven Spielberg sta traendo un film», spiega Canali. «Nell’ultimo libro, fa capire benissimo gli ambienti vaticani e le fazioni della curia.

Interessante è il personaggio del gesuita Pietro Tacchi Venturi, che tiene i rapporti con Mussolini per papa Ratti: non c’è ancora una sua biografia. Ma credo che, per le sue indagini, anche Kertzer sia in attesa, come me, che si aprano totalmente gli archivi di Pio XII Pacelli. Solo allora si potrà capire parecchio: dalla questione dei Lager all’anticomunismo del dopoguerra, alla rete vaticana nei Paesi esteri; per la ricerca, si aprirà una prateria».
Ma per adesso, negli archivi del mondo «ci sono tanti buchi neri»: magari non ci si sprofonda dentro, ma è difficile riuscire a compiere ricerche approfondite. Perché, spesso sono legati gli uni agli altri». Anche Canali ha lavorato in quelli vaticani: «Ad esempio, ho trovato informazioni nei suoi fascicoli, per il libro sulle spie di regime. E presto li dovrò consultare di nuovo».

INDAGINI
Scusi, perché? «Perché mi sto dedicando anche ai giornalisti americani arrivati durante la guerra in Italia, e spesso erano accreditati anche Oltre Tevere. Mi interessa capire che cosa vedevano del nostro Paese e del regime; almeno fino alla guerra di Etiopia c’è stato un rapporto quasi omertoso; di Mussolini, agli inizi, apprezzavano il dirigismo; ho lavorato molto sul consenso che il fascismo creava: cosa faceva, in questi casi, per acquisirlo? Per questo, oltre all’Archivio centrale di Stato, lavoro anche su numerosi altri fondi, quelli del New York Times e dei due più importanti giornali di Chicago».

Un altro progetto cui Canali si applica riguarda Werner Von Braun, il «padre» delle V2 naziste che bombardarono Londra, e poi l’uomo di punta della missilistica americana: «Ho scoperto che a Peenemünde faceva lavorare i deportati, e lo sapeva benissimo. Ma anche a Buchenwald e a Mittelbau: qui si costruivano i motori per i razzi e, tra l’altro, ci è morto un mio zio. So che al tema si sta dedicando anche una scrittrice americana, premio Pulitzer, ma non posso dire di più». Racconta ancora di tante altre ricerche, di numerose scoperte, di gioie e dispiaceri. Anche di questo parleranno lui e Kertzer questo pomeriggio all’Accademia Americana: «Perché ci si può confrontare, si può discutere, soltanto partendo dai documenti». Se si vuole scrivere della storia seria.
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