Libia, Alessandro Orsini: «L’unica soluzione è quella militare, ma per il nostro paese il rischio è alto»

Libia, Alessandro Orsini: «L’unica soluzione è quella militare, ma per il nostro paese il rischio è alto»
di Marco Ventura
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Lunedì 17 Agosto 2015, 21:30 - Ultimo aggiornamento: 23:58
«L’Isis in Libia si sconfigge solo militarmente, ma qualsiasi intervento senza un accordo tra le fazioni di Tripoli e Tobruk sarebbe per l’Italia la più grande iattura, fra l’altro la esporrebbe a attentati terroristici. Prima o poi l’intervento ci sarà. L’Italia ne sarà coinvolta, e pagherà un prezzo per il caos libico». Alessandro Orsini, direttore del “Centro per lo studio del terrorismo” dell’Università di Roma “Tor Vergata”, sta scrivendo un libro sul terrorismo islamico per Rizzoli. E in Libia vede nero.



L’Isis sta conquistando terreno o no? «Più che un’avanzata dell’Isis, c’è in Libia il caos totale. A Bengasi come a Misurata non c’è gruppo che riesca a prendere il sopravvento. A Sirte la popolazione è disperata, anche ragazzi con una vita normale hanno preso il fucile e sono scesi in strada. Il New York Times racconta di padri di famiglia che sparano contro il Califfato. A quanto pare, l’Isis controlla solo il quartiere numero 3, a Sirte Est».



I libici si ribellano all’Isis anche perché lo percepiscono come non libico, che viene da fuori? «In parte è un fenomeno portato da fuori, in parte vi aderiscono elementi locali. La rivolta dei padri di famiglia e dei ragazzi rende l’idea del crollo della statualità in Libia. A Derna, per esempio, c’è un’alternanza continua: fino a qualche mese fa comandava l’Isis, poi scacciato da altri estremisti islamici. Nessuno ha armi a sufficienza per sottomettere gli altri. Questo si deve all’embargo internazionale di armi verso Tobruk e Tripoli. Anche i bombardamenti aerei sulle postazioni dell’Isis a Sirte hanno avuto scarsi effetti: i velivoli erano troppo vecchi».



Come mai il governo internazionalmente riconosciuto di Tobruk si appella alla Lega Araba per raid contro l’Isis, invece che a noi? «È uno schiaffo all’Europa. Il governo di Tobruk ha implorato per mesi la Ue e l’Italia di sospendere l’embargo delle armi e dagli appelli conciliatori è passato a toni più duri. Oggi si rivolge direttamente alla Lega Araba. Ma la scelta della Ue è stata giusta, se l’Europa avesse consentito di vendere armi a Tobruk la guerra sarebbe diventata ancora più sanguinosa. Tripoli, per reazione, si sarebbe scatenata. E Tobruk avrebbe usato le armi non solo contro l’Isis ma contro le milizie avversarie di Tripoli».



E l’appello dei 6 Paesi all’unità nazionale libica contro l’Isis, ma escludendo l’opzione militare, come va letto? «Il comunicato risponde a esigenze diplomatiche. Se Tripoli e Tobruk non si accordano su un governo di unità nazionale non è possibile neppure una soluzione militare, l’unica possibile contro l’Isis. Bernardino Leon, l’inviato dell’Onu, si è fatto in quattro per un accordo, ma le potenze occidentali non hanno investito con offerte abbastanza allettanti per Tobruk e Tripoli. Il fatto che solo Tobruk sia riconosciuta a livello internazionale ha limitato la volontà d’intesa di Tripoli, che infatti in Marocco non ha messo la sua firma».



La soluzione militare è tecnicamente o politicamente impossibile oggi? «Sarebbe la più grande sciagura per l’Italia, che diventerebbe un bersaglio dei terroristi islamici. C’è un rapporto di causa-effetto e tutti gli studi lo confermano, secondo una logica schiacciante: i terroristi colpiscono chi li colpisce. Un intervento frontale dell’Italia muterebbe l’atteggiamento dell’Isis e ci esporremmo molto. Ci sarebbero morti tra i nostri soldati e siccome la nostra opinione pubblica ha una forte vocazione pacifista, ci sarebbero ripercussioni sulla politica e sulla stabilità interna. Eppure, non c’è alternativa a un intervento militare in Libia contro l’Isis. Il problema è quando. La logica dell’Isis è vincere o morire».



Quanto è forte il rischio di terroristi lupi solitari in Italia? «Impossibile prevederlo.
Possiamo solo affidarci ai nostri servizi di sicurezza, che in Europa sono tra i migliori. Se l’Italia venderà le armi a un eventuale governo di unità nazionale, sarà odiata dall’Isis. Se manderemo i nostri soldati a combattere sotto qualunque forma, anche con caschi blu, saremo comunque esposti a un grande odio dei terroristi islamici. Ciò che è accaduto non doveva accadere. Almeno nei prossimi anni, la Libia costituirà un pericolo per la sicurezza nazionale».
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