È delusa e amareggiata per la decisione delle famiglie dei bulli di non partecipare ai percorsi di recupero dopo i gravi episodi avvenuti in una classe di terza media della provincia di Latina. La mamma della 13enne vittima dei compagni che la chiamavo "Ebola" e avevano creato una chat con il solo obiettivo di insultarla tutti i giorni, racconta il terribile anno scolastico e soprattutto l'epilogo inaspettato.
Insulti alla compagna per un anno a Latina, ma i bulli vengono promossi (e i genitori li difendono)
«Non mi interessa il fatto che i ragazzi siano stati tutti promossi, non spetta a me valutarli, sono però scettica sul fatto che tutti abbiano capito la gravità di quanto accaduto, specialmente le famiglie». E' proprio questo il nocciolo della questione, la reazione delle famiglie dei bulli di fronte a una serie di episodi così gravi. Il gruppetto di 13enni aveva creato una chat nella quale giravano messaggi di questo genere: «Se muori non se ne accorge nessuno», «se non hai amici, fatti una domanda», «per quanto sei grossa non passi dalla porta». Alcuni di loro sono stati promossi a pieni voti, l'unica conseguenza concreta è stata il 6 in condotta.
Ma il punto, secondo la madre della ragazza vittima dei bulli, è un altro: le famiglie hanno davvero capito cosa è successo?
«Non credo che i genitori dei ragazzi coinvolti si siano resi conto fino in fondo di quanto accaduto, della gravità e delle conseguenze degli insulti rivolti a mia figlia durante tutto l'anno scolastico. Questo è dimostrato dal fatto che hanno rifiutato la possibilità d partecipare ai percorsi previsti dalla giustizia riparativa così come è stato chiesto».
La legge prevede infatti che i percorsi di recupero siano effettuati su base volontaria, non esistono obblighi, ma un accordo che riconosce la necessità di reinserire e rieducare i ragazzi dopo gravi episodi. All'invito del Centro di giustizia riparativa della Regione Lazio i genitori non hanno neppure risposto.
Ma non finisce qui. La famiglia della ragazza vittima dei bulli è stata in qualche modo isolata, come se la colpa di tutto questo polverone fosse della ragazza e della madre che ha presentato la denuncia.
«E' andata così - conferma la mamma - io ho deciso di denunciare quanto accaduto perché ritenevo e ritengo che sia la scelta migliore, mi auguro anzi che facciano lo stesso anche altre persone che si trovano nella stessa situazione.
Ora la ragazza, dopo aver superato l'esame di terza media a pieni voti, si prepara a una nuova vita, in un'altra scuola, lontano da quei compagni che l'hanno umiliata per un anno intero. «Lei - spiega la madre - è stata matura e responsabile nel momento in cui ha deciso di raccontarmi tutto. Ma proviamo a immaginare cosa sarebbe successo se mia figlia fosse stata più fragile o se non avesse avuto dietro una famiglia in grado di ascoltarla e capirla. Ecco magari le cose sarebbero andate diversamente. Per fortuna le istituzioni hanno risposto rapidamente: grazie alla polizia Postale e alla Garante dell'Infanzia gli interventi sono stati veloci ed efficaci. Così è stato possibile interrompere il vortice di violenza verbale e psicologica che aveva travolto mia figlia».
Chat dell'odio, bulli sospesi. La preside: Pensavano fosse un gioco
La Procura dei Minori di Roma, nonostante le prove schiaccianti, ha chiesto l'archiviazione per i ragazzi indagati, tutti al di sotto dei 14 anni e quindi non imputabili. L'inchiesta per stalking e istigazione al suicidio è destinata a un nulla di fatto, ma l'amaro in bocca resta soprattutto per l'occasione sciupata dalle famiglie dei bulli che avrebbero potuto e dovuto dare un segnale forte ai propri figli. E invece hanno preferito girare la testa dall'altra parte.
Profilo Abbonamenti Interessi e notifiche Newsletter Utilità Contattaci
Logout