Emanuela Orlandi, a un anno dall'apertura dell'indagine il Vaticano rassicura che i pm stanno lavorando ma la famiglia incalza il Papa: «Agisca»

Emanuela Orlandi, a un anno dall'apertura dell'indagine il Vaticano rassicura che i pm stanno lavorando ma la famiglia incalza il Papa: «Agisca»
di Franca Giansoldati
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Mercoledì 10 Gennaio 2024, 14:52

Su Emanuela Orlandi ora stanno indagando tutti: la Procura di Roma che ha riaperto il caso, la neonata Commissione parlamentare composta da 20 deputati e senatori e, soprattutto, il Vaticano che in questi quarant'anni non ha brillato di certo per trasparenza e collaborazione con la famiglia della ragazzina - cittadina vaticana - scomparsa in un assolato pomeriggio di giugno del 1983 e da allora finita al centro delle più fantasiose ricostruzioni ma di fatto inghiottita in un vero buco nero. 

La famiglia della giovane con esemplare tenacia in questi decenni non ha mai smesso di chiedere, denunciare, bussare a mille porte. L'ultimo appello risale a Capodanno quando il fratello Pietro ha nuovamente incalzato il Papa chiedendogli di scoperchiare il caso e «agire». Stamattina è arrivata la reazione del magistrato vaticano che ha in mano il caso, Alessandro Diddi e che a un anno dall'apertura dell'inchiesta in Vaticano ha rassicurato tagliando corto: «stiamo continuando a lavorare, a differenza dell'Italia noi non abbiamo limiti di tempo, il sistema è più garantista per la persona offesa: per cui finché il caso non è chiuso continueremo a lavorarci», naturalmente sottolineando che esiste la «collaborazione» della Procura di Roma.

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Ad avere indotto il Vaticano a muoversi dopo decenni di silenzio è stata la pressione dell'opinione pubblica mondiale dopo la pubblicazione di tanti libri ma soprattutto di una serie televisiva fortunatissima sulla piattaforma Netflix: The vatican girl. La docufiction ha riassunto e legato tra loro, in modo cinematografico, tutti gli elementi che in vari periodi si sono andati a incrociare creando un plot esplosivo con la presenza di servizi segreti, terroristi internazionali, vescovi corrotti, fiumi di denaro da riciclare e persino elementi della Banda della Magliana. The vatican girl ha avuto il merito di aiutare a non far calare definitivamente il sipario sulla fine di una ragazzina dallo sguardo gentile uscita di casa per andare come sempre ad una lezione alla scuola di musica senza mai fare più ritorno da sua mamma, da suo padre (nel frattempo morto) e dai suoi fratelli.

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Sulla scia del successo di Netflix, il Vaticano ha finalmente rotto gli indugi e l'anno scorso ha annunciato di avere trovato al suo interno «alcune piste di indagini meritevoli di interesse» andando a parlare con le persone che all'epoca della scomparsa della povera Emanuela vivevano o lavoravan o all'interno della curia e potevano essere stati testimoni di indizi importanti.

Fino a quel momento al di là del Tevere le autorità hanno sempre risposto alla famiglia che esisteva solo un inutile e polveroso dossier composto da fotocopie dei giornali dell'epoca e poco altro. Di indizi utili nessuno, poi la svolta. Era stato il Promotore di Giustizia dello Stato della Città del Vaticano, Alessandro Diddi a dare l'annuncio: «In merito alla vicenda di Emanuela nei mesi scorsi questo ufficio ha raccolto tutte le evidenze reperibili nelle strutture del Vaticano e della Santa Sede, anche cercandone attestazione tramite conversazioni con le persone responsabili di alcuni uffici all’epoca dei fatti. Ha proceduto all’esame del materiale confermando alcune piste di indagine meritevoli di ulteriore approfondimento». Le carte erano poi state trasmesse alla Procura di Roma, perché questa potesse prenderne visione e proceder. Cosa sia stato trovato di nuovo in Vaticano e trasmesso alla Procura resta top secret, forse carte sfuggite negli anni passati. 

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In parallelo ha preso corpo e si è sviluppata in Parlamento la battaglia per la costituzione della Commissione tra forze politiche a favore e contrarie. Nel frattempo il promotore vaticano Diddi era stato convocato in Parlamento per essere sentito sul disegno di legge istitutivo della commissione di inchiesta e nel corso della audizione era stato il primo a dirsi contrario: «In questa fase delle indagini aprire una nuova commissione sarebbe un’intromissione perniciosa per la genuinità delle indagini che stiamo conducendo». Sulla stessa linea anche il segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, che ebbe modo di criticare la modalità di convocazione di Diddi con una lettera, letta nel corso dell’audizione. Nel frattempo da diversi parlamentari era stato sollevato il doppio ruolo svolto da Alessandro Diddi, da una parte magistrato dello Stato del Vaticano ma dall'altra avvocato in Italia e difensore, in diversi processi, di elementi legati alla criminalità romana. Un particolare che aveva sollevato parecchi interrogativi poiché sulla scomparsa della Orlandi, tra le varie piste da verificare, c'è quella collegabile alla Banda della Magliana. 

Si parla, infatti, di questo elemento in tre momenti cruciali: nel 2005 una telefonata arrivata alla puntata Chi l'ha visto collegava per la prima volta il caso alla sepoltura del boss della Banda della Magliana a Renatino De Pedis nella basilica di Sant'Apollinare. A questo fece seguito la testimonianza della compagna di “Renatino”, Sabrina Minardi, che invece riferì di aver visto con i suoi occhi Emanuela Orlandi tenuta in ostaggio e poi riconsegnata al Vaticano; infine un’intervista a Marcello Neroni, legato a De Pedis, che lanciò una pista interna sulla pedofilia. 

Il mistero è tutto da dipanare, Tuttavia la famiglia Orlandi ha avanzato anche una richiesta formale di accesso agli atti riguardanti il caso, irrisolto oramai da quaranta anni. La richiesta è stata rivolta al sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano in qualità di delegato ai Servizi di Informazioni e di Sicurezza. L'avvocato Laura Sgrò – difensore della famiglia – ha chiesto l'accesso ai documenti riferibili al «caso Orlandi», anche se coperti da segreto di Stato, per ragioni di «evidente interesse della famiglia». 

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La richiesta arriva perché dalla documentazione in possesso della famiglia Orlandi «risulta che il Sismi, ora Aise, abbia certamente compiuto delle attività di indagine sul sequestro di Emanuela Orlandi e di Mirella Gregori», spiega Sgrò. Si tratterebbe di tre faldoni di documentazioni che a suo tempo, nel 1993, erano stati richiesti nell'ambito delle indagini sull'attentato a Giovanni Paolo II ma che di fatto rimasero fisicamente nella sede del Sismi di via dei Selci. 

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La commissione parlamentare è composta da venti senatori e da venti deputati e avrà il compito di «ricostruire e analizzare la dinamica della scomparsa di Emanuela Orlandi e di Mirella Gregori (un'altra adolescente scomparsa in quell'anno) e dovrà verificare ed esaminare il materiale e i dati acquisiti attraverso le inchieste giudiziarie, giornalistiche e condotte commissive oppure omissive che possano avere costituito ostacolo o ritardo o avere portato ad allontanarsi dalla ricostruzione veritiera dei fatti necessaria all'accertamento giurisdizionale delle responsabilità». Inoltre «la commissione potrà promuovere azioni presso Stati esteri, finalizzate ad ottenere documenti o altri elementi di prova in loro possesso che siano utili alla ricostruzione della vicenda».

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