Davide ucciso sul Subasio, la famiglia Piampiano: «Fabbri sparò ma poteva immaginare fosse lì»

DAvide Piampiano e un sopralluogo dei carabineri
di Enzo Berettta
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Giovedì 16 Febbraio 2023, 09:34

«Piero Fabbri non è un inesperto, un cacciatore alle prime armi, ha 57 anni e va a caccia da una vita, sin dall’età di 14 anni, quindi la scelta di sparare al minimo fruscio, scambiando una persona per un cinghiale, si concilia male con lo stato dei luoghi, con i 184 centimetri di altezza e la corporatura robusta di Davide Piampiano che quel giorno indossava un abbigliamento particolare, un giubbotto definito ad alta visibilità». Così scrive il legale della famiglia Piampiano, l’avvocato Franco Matarangolo, in un atto depositato alla Procura della Repubblica di Firenze impegnata nelle indagini sulla morte del 24enne ucciso l’11 gennaio durante una battuta di caccia al cinghiale sui monti del Subasio. 
«Si potrebbe aggiungere un’altra ipotesi di dolo eventuale - si legge - l’indagato sarebbe stato chiamato al telefono da Davide che gli ha riferito che era stato avvistato un cinghiale ma che si era smarrito il cane che lo seguiva. Fabbri è uscito di casa, che si trova non lontana dal luogo dell’evento, armato di fucile, per andare incontro al giovane. Da esperto conoscitore dei luoghi - prosegue Matarangolo - era quindi conscio dove si trovasse il giovane e che presto si sarebbe imbattuto in lui, avendo ricevuto verosimilmente le coordinate di dove si trovasse. Le condizioni di tempo e di luogo lasciavano ampia visuale a Fabbri, che ha deciso di sparare, a suo dire, ritenendo trattarsi di un cinghiale».
Solamente poche ore fa il muratore di Assisi, arrestato il 26 gennaio e portato in carcere con l’accusa di omicidio volontario con dolo eventuale, è tornato libero. I pm fiorentini, infatti, hanno derubricato l’ipotesi di reato in delitto colposo e all’uomo è stato imposto più semplicemente l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Neppure i domiciliari, misura che poteva essere comunque inflitta. Matarangolo sollecita «una perizia balistica che sulla base degli esiti finali dell’autopsia, dell’individuazione del bossolo e dell’arma che ha sparato, nonché con l’ispezione dei luoghi e con l’utilizzo di figuranti che rendano verosimile la riproduzione dell’evento, possa ricostruire il più fedelmente possibile la dinamica di quanto accaduto». Anche perché - avverte il legale - «non possono essere prese per buone le indicazioni dell’indagato». Perché? «Lo stanno a dimostrare i suoi comportamenti durante e dopo la morte di Davide Piampiano». Più nello specifico, si legge nella memoria: 1) ha scaricato il fucile del ragazzo per simulare che si fosse sparato da solo; 2) ha occultato la giacca da caccia, essendo risultato vestito in altro modo nell’incontro con i carabinieri subito dopo il fatto, rispetto all’abbigliamento ricavabile dal video; 3) ha fatto sparire il bossolo ed il fucile, non si sa se aiutato da terze persone; 4) ha raccontato a tutti, nell’imminenza del fatto e nei giorni successivi, l’inverosimile ricostruzione contenuta in atti; 5) nei giorni seguenti ha fatto continue visite alla famiglia del defunto, raccontando sempre la solita storia e facendo credere che la morte del ragazzo fosse dipesa da una sua leggerezza; 6) questo atteggiamento e racconto lo ha sostenuto anche all’inizio dell’interrogatorio di garanzia, per poi cambiare versione e ‘pentirsi’ solo di fronte alla contestazione di quanto registrato dalla telecamera GoPro che Davide portava sempre con sé. Nella memoria del legale di parte civile si parla dell’astuzia «dimostrata nell’inquinamento delle prove da parte dell’indagato, che potrebbe continuare, tenuto conto della conosciuta omertà che vige tra i cacciatori. Oltre al pericolo di reiterazione del reato, se fosse consentito all’indagato di riprendere l’esercizio della caccia».

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