Sinner: «Non mi importa di aver raggiunto Panatta, punto alle Finals. La rinuncia alla Davis? Non voglio parlarne, ma a Malaga ci sarò»

L'altoatesino ha vinto il torneo Atp 500 di Pechino battendo in finale Daniil Medvedev

Sinner
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Giovedì 5 Ottobre 2023, 16:07

Jannik Sinner è nella storia del tennis italiano. La vittoria nel torneo Atp 500 di Pechino ha permesso all'azzurro di raggiungere la quarta posizione nella classifica Atp, eguagliando il record all time di un italiano firmato da Panatta 47 anni fa, e di conquistare il nono titolo della sua giovane carriera. Tanta l'emozione per l'altoatesino, che si è raccontato in un'intervista rilasciata al Corriere della Sera, rilanciando le proprie ambizioni per le Finals di Torino (ormai a un passo) e la fase finale della Coppa Davis, da giocare a novembre con l'Italia.

Pechino rimarrà una pietra miliare della carriera, Jannik. Di cosa va più fiero?
«Del modo in cui sono stato in campo. I primi due giorni in Cina non mi sentivo bene per niente, poi i problemi con Evans, un po’ meglio con Nishioka, il vomito con Dimitrov. Ho saputo superare le difficoltà, con Alcaraz e Medvedev stavo finalmente bene. Ho imparato dagli errori e mi sono piaciuto».

Quali errori?
«Errori commessi all’Open Usa e prima, quando ho vinto il Master 1000 di Toronto e subito dopo sono uscito al primo turno a Cincinnati. Per me è importante non ripeterli. A Shanghai cercherò di vincere almeno un match...».

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Quello che le serve per blindare il Master da titolare.
«È l’obiettivo della stagione, ci siamo quasi.

Con il lavoro di quest’anno siamo già avanti, poi ci sarà l’investimento sul 2024. Ci vuole equilibrio, nel tennis. La settimana positiva di Pechino può aprirmi altre porte».

Con il senno di poi possiamo dire che la scelta conservativa di saltare il girone di Davis per preparare lo swing in Asia ha pagato?
«Non so se ho voglia di parlare di questo però sì, sono contento di come mi sono allenato dopo l’Open Usa. Non è che in due settimane ti inventi niente, eh, voi il lavoro non lo vedete ma c’è: giornate lunghissime, tra campo e palestra, io mi sento bene solo se alla fine sono stanco morto, perché vuol dire che mi sono allenato nel modo giusto. Vincere un torneo non cambia la vita ma convalida la bontà di quello che fai».

A Pechino, contro il n.2 Alcaraz e il n.3 Medvedev i miglioramenti si sono visti.
«Ho provato cose nuove e servito una percentuale più alta, ma non basta. E non significa che servirò sempre così. La scelta di non andare in Davis alla fine serviva a quello, la programmazione si fa in base agli obiettivi. La differenza che avverto ancora è fisica: i miei movimenti in campo possono migliorare, volée, servizio, tutto può crescere. Non sono arrivato al picco, proprio no».

 

Sempre a cercare il pelo nell’uovo. È almeno un po’ contento?
«Certo che sono felice, questa era una stagione importante e per ora è buona. I passi avanti li vedo: la prima semifinale Slam, il primo Master 1000, la classifica che cresce... Sono più presente e costante però rimangono molti difetti da togliere al mio tennis».

Il n.4 del ranking come Panatta nel ‘76 cosa significa, Jannik? E quanto conosce, lei nato nel 2001, della storia del tennis italiano?
«La storia la conosco, però andare oltre i risultati degli altri non mi dice niente. Non mi interessano i paragoni con il passato, cioè: voglio diventare forte io, Jannik Sinner, la sfida è con me stesso e la storia la costruisco per me, per nessun altro. Mi interessa condividere questi momenti con le persone che credono in me, i miei parenti e il mio staff. Solo questo conta. Poi vedremo quanto oltre i miei limiti riuscirò a spingermi».

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«Sono impegnato a conoscere il mio cervello, ma serve tempo. Mi interessa capire il 100% di come funziona il mio, soprattutto nelle difficoltà, quando sono stanco o nervoso. Le settimane dopo New York le ho investite anche sulla mia testa e a Pechino spero si sia notato. A Montecarlo lavoro con Formula Medicine: è un modo diverso di allenare la mente. Proverò a riprodurre il modello a Shanghai, che sarà un test importante, sperando che Pechino non sia stato solo un caso!».

Dice di conoscere la storia del tennis italiano. Il suo 2023 potrebbe essere un anno di svolta come lo fu il ‘76 per quella generazione?
«Ammetto di essere in una posizione piacevole, esco da Pechino con un notevole pieno di fiducia, ma non sempre è sufficiente. Niente, nel nostro mondo, è scontato. Non so cosa vi sembra da fuori però non esistono match facili, ogni settimana si ricomincia da capo. C’è più lavoro da fare adesso che sono diventato numero 4 del mondo, rispetto a prima. E non ci si ferma mai: le vacanze non esistono, servono a preparare la stagione successiva».

Ma insomma Jannik, almeno un brindisi e un involtino primavera se lo conceda, a 22 anni. Ci vediamo a Torino, okay, e poi a Malaga per le finali di Davis?
«A Malaga ci sarò. A me la dimensione della squadra, quella sensazione di Italia con la maglia azzurra, piace. Abbiamo la panchina lunga e tante scelte diverse anche per il doppio. La Coppa si può vincere».

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